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La Sardegna oltre il mare

Quando si pensa alla Sardegna viene subito in mente il mare, un mare cristallino che cambia tonalità in ogni porzione di costa dell’isola, a completare un paesaggio che non ha eguali nel mondo. Eppure la Sardegna non è solo mare: percorrendo le strade che dalla costa giungono all’entroterra, si trovano borghi di pace in cui riecheggiano gli echi del passato; un popolo e una terra che mantengono vivo il legame con la natura, con le tradizioni popolari, con la superstizione, con la devozione, con l’arte come espressione della vita e dei desideri di una comunità.
In occasione dell’evento dedicato ai ‘borghi autentici e turismo rurale’, nel centro congressi MBC dell’aeroporto Olbia-Costa Smeralda, siamo andati a visitare tre borghi della Sardegna centro-orientale, in provincia di Nuoro, per poter vivere un’esperienza autenticamente sarda.

Il primo è Galtellì, nella regione della Baronìa, tra i piedi del monte Tuttavista e le sponde del fiume Cedrino, a 50 minuti di auto dall’aeroporto di Olbia e a dieci minuti dalle località balneari del Golfo di Orosei. È il paese delle “Canne al vento” che nel 1912 ispirarono il romanzo di Grazia Deledda. L’autrice nuorese, Premio Nobel per la letteratura italiana, trascorreva periodi di vacanza a Galtellì e ancora oggi, ripercorrendo il parco a lei dedicato, si respira l’atmosfera rurale, si rivivono gli scenari e la cultura pastorale di allora, l’ospitalità e la cura che fanno sentire i visitatori abitanti temporanei del borgo.
Nella chiesa di San Pietro, antica basilica medievale edificata tra l’XI e il XII secolo e allora sede vescovile della Diocesi di Galtellì, è di recente venuto alla luce un ciclo pittorico di affreschi di richiamo bizantino, tra i più antichi ritrovati in Sardegna. Il Cristo a grandezza naturale di probabile Scuola Pisana sull’altare della chiesa del Santissimo Crocifisso, al centro del borgo, è stato a lungo venerato per numerosi atti miracolosi documentati dagli atti ufficiali a partire dal Seicento. Ma il fascino di questo piccolo borgo è dovuto, soprattutto, alla vita di comunità e alla sua peculiare urbanistica, caratterizzata dalla presenza di case padronali appartenute alle famiglie nobiliari galtellinesi. Tra queste abitazioni, la settecentesca “Sa Domo e sos Marras” è divenuta sede del museo etnografico del borgo e, negli spazi intorno al cortile acciottolato, custodisce le testimonianze della vita agricola e artigiana di un tempo.
Il monte Tuttavista è raggiungibile in auto fino a poche centinaia di metri dalla vetta ma chi ama il trekking può seguire il sentiero dal borgo e intraprendere una camminata di circa due ore nella natura, per giungere in cima e ammirare dall’alto il golfo di Orosei in tutto il suo splendore.

Da “un tempo immemorabile” vengono le maschere di Mamoiada, piccolo borgo della subregione della Barbagia, secondo i suoi abitanti. I Mamuthones indossano una maschera nera antropomorfa, la casacca di pelle ovina, il fazzoletto nero sul capo e un pesante mazzo di campanacci sul dorso. Accompagnati dagli Issohadores, che invece indossano un costume tradizionale con un corpetto rosso, dopo una lunga vestizione i Mamuthones escono in pubblico il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio, quando in tutta la Barbagia si accendono grandi fuochi votivi, per proseguire i rituali durante tutto il Carnevale. La sfilata dei Mamuthones è una processione danzata in cui i figuranti si muovono a intervalli regolari, dando dei colpi di spalla una volta verso destra e un’altra verso sinistra e emettendo all’unisono il forte suono dei campanacci. Il rituale richiama una devozione arcaica che è stata miracolosamente mantenuta fino ai giorni nostri: gli etnografi e gli abitanti di Mamoiada ancora oggi parlano dei Mamuthones non come delle maschere carnevalesche o della commedia dell’arte ma come un cambio di identità, come l’esperienza di una mutazione, il mistero di una metamorfosi.
I Mamuthones e gli Issohadores, dall’antichità ad oggi, hanno assunto diversi significati, incrociando la dimensione mitica con quella storica: la maschera come comunicazione con la divinità, come rito di propiziazione per la caccia, come rituale afrodisiaco, come rappresentazione di morte e di nascita, come memoria delle battaglie. Poter ammirare gli artigiani che realizzano le maschere dell’arcaica tradizione locale, poter assistere alla misteriosa e coinvolgente processione di questo borgo sardo e visitare il Museo delle maschere mediterranee valgono una visita a Mamoiada.

Raccontano la vita quotidiana, esprimono messaggi di denuncia sociale, di lotta popolare, manifestano posizioni politiche rispetto ai temi contemporanei. Sono oltre 150 i murales artistici di Orgosolo, borgo di bassa montagna a venti chilometri da Nuoro e a circa un’ora dalla costa. Questo piccolo paese nel cuore della Barbagia di Ollolai, circondato dall’altopiano montuoso del Supramonte e noto alle cronache per essere stato a lungo luogo di banditismo e di sequestri, oggi è un vero museo a cielo aperto. Tutto è iniziato quando, a seguito di alcuni murales di anarchici milanesi, l’insegnante toscano Francesco De Casino nel 1975 portò i suoi alunni a dipingere lungo le strade del borgo sardo. Da allora artisti provenienti da ogni dove hanno deciso di esporre la propria opera murale a Orgosolo, accordando il permesso con la popolazione locale. “Concimi, non proiettili”, “No alla repressione”, “No ai licenziamenti”, si legge sui muri delle abitazioni di Orgosolo. E ancora: “Nostra patria è il mondo intero”, “Siamo tutti clandestini”.
Agli amanti del trekking, i sentieri dei monti che circondano il borgo assicurano un’immersione nella natura selvaggia e incontaminata e gli amanti dell’archeologia troveranno pane per i loro denti visitando testimonianze preistoriche come le strutture sepolcrali Domus de Janas, Tombe di giganti e i nuraghi Su Calavriche e Mereu.

Nei suoi borghi la Sardegna mantiene la promessa di un’esperienza multipla e variegata: da non dimenticare la lunga tradizione gastronomica e enologica. Nell’area centro orientale dell’isola si trovano i piatti delle antiche ricette sarde, cucinati con ingredienti genuini e con materie prime locali come il pane carasau, la pasta lavorata a mano con farine di grano sardo, il porcetto e l’agnello arrosto, i salumi e i formaggi prodotti dai pastori, dolci, liquori di bacche e di erbe. Interessante un giro di degustazioni nelle cantine delle aziende agricole locali, come il vigneto Sedilesu: proprio quella tracciata da questi borghi è la terra del Cannonau rosso o rosato, il vino più antico del Mediterraneo.

"Girotonno è una manifestazione all'insegna della promozione del tonno rosso in tutte le sue varianti, un evento ormai storico - ricorda il sindaco di Carloforte Salvatore Puggioni - che permette di far conoscere l'isola di San Pietro e il Sulcis in tutto il mondo e che in questa edizione abbiamo voluto arricchire con diverse novità". Fondata nel 1738, Carloforte vanta una storia affascinante. A breve partirà la candidatura Unesco come patrimonio immateriale dell'Umanità per l'Epopea Tabarchina, con le sue vicende storiche e culturali. Capofila è la Tunisia in cordata con Liguria e Sardegna e i due consigli comunali di Carloforte e Calasetta.

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