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L'africa invade il Maxxi

(di Luciano Fioramonti) (ANSA) - ROMA, 21 GIU - Un invito ad "aprire la mente" in un momento dominato dalle chiusure, non solo dei porti. Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi, riassume così il senso della "grande stagione sull' Africa" che il grande museo romano apre con due mostre e una raffica di eventi, dai concerti ai film, dalla poesia alla letteratura, alla architettura, alla danza. L' arte, dunque, come chiave di lettura dei mille aspetti di un continente che, nonostante le ferite secolari di sottosviluppo e discriminazione, guarda al futuro con vitalità e energia.
    La narrazione si snoda su due grandi rassegne: "Africa Metropolis, una città immaginaria", fino al 4 novembre, un viaggio attraverso più di cento opere - fotografie, video, istallazioni, fotografie - di 34 artisti, e "Road to justice", fino al 14 ottobre, che presenta 11 opere di artisti africani, alcuni dei quali della collezione del Maxxi, una raccolta di immagini su identità, diaspora, migrazioni, riconciliazioni e "storie personali che diventano collettive". "African Metropolis - ha detto Simon Njami, uno dei curatori - cade in un momento particolare considerando la linea politica del governo italiano e le posizioni di Salvini sulla vicenda della nave Aquarius e sui rom. Alcuni esponenti politici eletti dal popolo non sono dittatori ma possono diventarlo. E' successo così anche in passato. E' importante che gli italiani sappiano che ci sono problemi in Africa, in America, in Italia. L' Africa non è un concetto ma una realtà molto complessa. Con questa mostra vogliamo far riflette in modo differente". Elena Motisi, l' altra curatrice, indica nel "senso del vagare" il filo che lega artisti tanto diversi nel raccontare "esseri umani, colori, suoni odori ed esperienze che definiscono il senso di una città". Artisti affiancati non in sezioni ma in "azioni metropolitane", con alcune opere site-specific che, ha sottolineato Melandri, resteranno nella collezione del Maxxi. La presidente della Fondazione ha rimarcato che il progetto vuole essere anche "l' occasione per un incontro con le comunità africane presenti a Roma". Di "nuova vita dell' Africa" parla Hou Hanru, direttore artistico del Maxxi, riferendosi alla percezione del continente come "prossimo mercato del futuro dell' economia globale" e all' urbanizzazione "senza precedenti" che ne è la diretta conseguenza. La "metropoli africana" vista dagli artisti è anche un banco di prova: si può immaginare una città ideale per tutti senza correre il rischio di una nuova Babele? Massimo Gaiani, direttore generale per la Mondializzazione del ministero degli Esteri, ha sottolineato l' importanza del lavoro svolto con il museo nell'aver messo a punto il "più grande evento realizzato in Italia sull' arte africana". Tra le opere, alcune hanno titoli espliciti. "Stressed World" del nigeriano El Anatsui, chiama a riflettere sulla distruzione ecologica e culturale; "Cani da guardia, di Lavar Munroe, scultura di tre animali e richiamo il simbolo della street gang che imperversava negli anni Ottanta nei quartieri di Nassau (Bahamas); suggestive le "Falling Houses" di Pascale Tayou (Camerun), baracche capovolte sospese con i tetti di lamiera e le pareti in legno tappezzate di foto. Certo, tra le più efficaci, spicca "Il mercante di Venezia", dell'angolano Kiluanji Kia Henda: è la grande foto di un musicista senegalese abbigliato con colori sgargianti, tra le mani le borse che vende dove capita, sullo sfondo sfarzoso di un antico edificio barocco italiano. Una provocazione ironica che spiazza anche Monique, 24 anni, italiana di padre congolese, impegnata nel progetto di mediazione culturale del Maxxi. "E' uno stereotipo che mi fa sentire in colpa - spiega davanti all' immagine - mi sento impotente a risolvere questi problemi. Per il colore della mia pelle ho subito discriminazioni, ma anch'io dico no ai venditori ambulanti invadenti. L' uomo della foto ti guarda e sembra dire: sono qui, non puoi non vedermi".
   

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