ROMA - Strumenti micidiali per colpire e difendersi, ma anche mezzi potenti per ribadire rilevanza sociale e status symbol: va ricercata in questo "salto" evolutivo la valenza assunta dalle armi nel Rinascimento. In un'epoca segnata dal conflitto tra Occidente e Impero Ottomano e dalle guerre tra le grandi potenze internazionali le armi ebbero una pluralità di intenti e di significati iconografici, simbolici, rituali, iconici. A darne conto è la mostra "Armi e Potere nell'Europa del Rinascimento" inaugurata a Roma dal ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli.
Armature intere, armi da difesa e offesa, armi da fuoco, elmetti, corsaletti, spade, alabarde, balestre e schiniere, in tutto 160 pezzi esposti fino all'11 novembre a Castel Sant'Angelo e a Palazzo Venezia. La rassegna, ideata e prodotta dal Polo Museale del Lazio diretto da Edith Gabrielli, in collaborazione con il Polo Museale dell'Emilia Romagna, è curata da Mario Scalini, grande esperto del settore. "Le armi - ha detto il ministro - sono una cosa non facile da trattare. Ci piacerebbe un mondo senza armi, ma la realtà ci dice che la difesa di un paese, le armi e le tecnologie che le supportano sono un argomento di cui un governo si deve occupare". "La mostra - ha osservato ancora il ministro Bonisoli - restituisce temporaneamente a Castel Sant'Angelo il fascino di fortezza militare, un ruolo fino a qualche tempo fa ricordato dall'esposizione della collezione dell'armeria del museo che spero presto possa tornare a esser goduta dai visitatori, e svela al pubblico le meraviglie della collezione Odescalchi del Museo Nazionale di Palazzo Venezia, una delle raccolte di armi storiche più importanti a livello internazionale".
Il direttore generale dei musei Antonio Lampis, che ha il compito di realizzare il sistema nazionale, ha ricordato che si tratta di circa ottomila strutture, nazionali, di comuni, diocesi, aziende e privati. E ha ribadito che oggi "sono proprio i poli museali una delle armi culturali dello Stato con il maggiore potenziale per rispondere alla domanda degli italiani che hanno in questi anni decretato il boom dei musei" con un ruolo determinante di interfaccia con istituzioni territoriali e università "per fermare la frattura fra centro e periferia" e tenere aperti tanti piccoli musei. Castel Sant'Angelo e Palazzo Venezia custodiscono nuclei di armi storiche pressoché unici al mondo. Queste collezioni - restaurate e riordinate per l'occasione - unite a prestiti internazionali, mostrano allo specialista e al visitatore un pagina rimasto a lungo poco nota. Nell'Europa e nell'Italia del Cinquecento le armi non erano solo strumenti di guerra. Il loro uso era costante nella caccia, nei tornei, negli spettacoli che riflettevano il peso del ceto aristocratico e militare.
Da qui il volerne farne oggetti d'arte, manufatti di altissimo artigianato, a volte pari all'oreficeria. Il nucleo centrale della mostra è costituito dalla collezione Odescalchi, nata dalla passione del principe Ladislao (1846-1922). Nel 1959 i circa duemila pezzi vennero quasi interamente donati al Museo Nazionale del Palazzo di Venezia. L'allestimento è stato curato da Sonia Martone, direttrice di Palazzo Venezia, in collaborazione con il Dipartimento di Architettura della Sapienza. Per Mario Scalini, il curatore, la mostra "legge la grande stagione del Rinascimento come momento apicale della congiunzione tra ricerca formale e funzionale nell'ambito delle armi. Eppure, nella storia, vi sono stati momenti in cui l'estetica ha quasi prevalso sul fine meccanicistico, in cui la schietta funzionalità ha dovuto cedere non poco alla 'magnificenza', perché il potere materiale del principe fosse manifesto più nella sua teofania che nella coercizione della forza che poteva esercitare". Edith Gabrielli ha spiegato che questa mostra si inserisce nel solco della ricerca e della valorizzazione del contenuto e delle strutture dei 46 musei e luoghi di cultura gestiti dal Polo a Roma e nel Lazio. Un obiettivo che in questo caso è lo spunto per "un viaggio lungo e avvincente attraverso il Rinascimento italiano. Al termine del percorso il visitatore può dire di avere scoperto la chiave di un'intera civiltà, la stessa di Ludovico Ariosto e Niccolò Machiavelli".