TIVOLI - "E dimmi che non vuoi morire". Quattordici volte avrebbe pronunciato questa frase, una per ognuno dei suoi figli, assassinati a causa della sua superbia. Niobe aveva commesso l'errore di vantarsi di essere più feconda di Leto, madre di Apollo e Artemide, che, per vendetta, sterminarono i suoi sette figli maschi e le sue sette figlie femmine, condannandola a un pianto eterno. Pianto che continuò a sgorgare nonostante Niobe fosse stata trasformata in pietra da Zeus.
Una mostra nell'Antiquarium del Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli, tra i siti dell'Istituto di Villa Adriana e Villa d'Este, ripercorre la storia e le varie interpretazioni artistiche del mito di Niobe nella tradizione dall'antica Grecia ad oggi, in una sorta di storytelling che accoglie ogni forma espressiva, dalla scultura alla foto, dal video al libretto teatrale. Il progetto espositivo, aperto al pubblico fino al 23 settembre, colpisce anzitutto per minimalismo e eleganza dell'allestimento, curato in ogni piccolo dettaglio.
A renderlo ancor più affascinante, è l'estrema attenzione con la quale ne viene rappresentato il concept: partendo da un gruppo scultoreo di Niobìdi, rinvenuto nei pressi di Ciampino nel 2012 e presentato per la prima volta al pubblico dopo complesse operazioni di restauro, la mostra esplora il mito narrato da Ovidio dall'iconografia della violenza nel Rinascimento fino al XX secolo e al nuovo millennio, quando il tema è declinato in rappresentazioni figurative del genocidio e della guerra.
"È una mostra molto ambiziosa", ha detto Andrea Bruciati, direttore dell'Istituto Villa Adriana e Villa D'Este e curatore dell'esposizione insieme con Micaela Angle. "È la prima volta che viene rappresentato con così tante opere un mito per lo più misconosciuto e che invece è molto vicino alla nostra contemporaneità: purtroppo le tragedie e le stragi fanno parte ancora oggi del nostro mondo". Le sculture di recente rinvenute, nella loro solenne immobilità, esprimono la profonda tensione emotiva del racconto: le torsioni dei corpi, le mani ancora nitidamente visibili che sorreggono i Niobìdi, le posture drammatiche, rompono la staticità dell'allestimento dando vita, sotto gli occhi dello spettatore, a una rappresentazione dinamica della tragedia apocalittica che si consuma sotto gli occhi di una madre. "Sarebbe bello e auspicabile - ha aggiunto Bruciati - che questo gruppo si mettesse a confronto con quello degli Uffizi perché ci sono delle posture differenti che rendono incerte le movenze codificate e testimoniano quanto queste sculture possano essere mutevoli nel numero e nella foggia".
L'Istituto Villa Adriana e Villa d'Este ha inaugurato la prima stagione espositiva nelle vesti di nuovo organismo autonomo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo proprio con questo allestimento, che infrange la divisione tra passato e contemporaneo coinvolgendo il visitatore in una narrazione letteraria e artistica che attraversa trasversalmente ogni periodo storico: oltre al gruppo scultoreo posto al primo piano, l'esposizione si compone, infatti, di pregiate ceramiche antiche a figure rosse, come quella del Pittore di Arpi rappresentante Andromeda e Niobe, di marmi bianchi provenienti dai secoli successivi, di fregi rinascimentali realizzati da Polidoro da Caravaggio, del celebre Nudo e Albero firmato da Mario Sironi degli anni '30 del '900, fino a un autoscatto della fotografa statunitense Francesca Woodman e al Red Carpet di Giulio Paolini. La ragione che lega questa mostra al titolo della canzone di Patty Pravo scritta da Vasco Rossi è quella di "aggiornare - per dirlo con le parole di Andrea Bruciati - qualcosa che fa parte dell'essere umano, come lo sono la sofferenza e la perdita. Una perdita, però, che porta con sé una speranza e una rinascita: Niobe dal dolore si pietrifica e diventa sorgente, fonte di nuova vita".
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