VENEZIA - Una stesura del colore che pare in certi tratti "frettolosa", ma il regista e scenografo Pier Luigi Pizzi, davanti a 'La messa in salvo del corpo di san Marco' non ha dubbi: "nei quadri di Jacopo Tintoretto c'è una grande lezione di pittura e di teatro. C'è sintesi, c'è tutto quello che è importante". L'appuntamento dell'omaggio di Venezia per i 500 anni dalla nascita di Tintoretto, all'unico tra i grandi della pittura veneziana '500 nato in laguna - Tiziano è cadorino, di Bassano o Pordenone è chiara la provenienza - e che ha fatto della luce, del colore che diventa forma, della voglia di sperimentare e della bramosia di dipingere, non importa se il committente era l'aristocrazia lagunare, qualche chiesa o una Confraternita, i suoi punti di forza, è a Palazzo Ducale e alle Gallerie dell'Accademia (da domani fino al 6 gennaio). Nel Palazzo dei Dogi, dove Jacopo ha realizzato il "Paradiso", l'enorme dipinto che decora una parete della Sala del Maggior Consiglio, è allestita la mostra "Tintoretto 1519-1594" (a cura di Robert Echols e Frederick Ilchman), mentre alle Gallerie dell'Accademia c'è l'omaggio (a cura di Paola Marini, Roberta Battaglia e Vittoria Romani) ai primi dieci anni di attività di un artista che per tutta la vita non si è mai mosso dalla città natale - è questione controversa tra i critici una sua puntata o meno a Roma - e che della Venezia del '500 è stato il grande narratore, il pittore della "Serenissima", ora con i suo lavori legati al sacro o alle mitologie per elogiare il sistema di governo ora con i ritratti di dogi e nobiltà. "Tintoretto è Venezia" dice Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici, realtà che con la National Gallery of Art di Washington e la collaborazione delle Gallerie dell'Accademia, ha dato vita a un appuntamento - che si dipana anche in città con altri eventi e una ventina di chiese dove poter vedere in loco le opere - che riporta alla giusta attenzione di un vasto pubblico un pittore che non solo era "avanti" all'epoca - "diverso da ogni altro" per il suo modo di dipingere, ma anche per la sua corsa ad avere contratti (tra tutti il ciclo per la Scuola di San Rocco) - ma che è stato fonte per altri artisti fino al '900, da El Greco ad Emilio Vedova (due suoi enormi "dischi" son in una sala laterale alla mostra al Ducale). Complessivamente sono oltre 130 le opere che tra il Palazzo dei Dogi (50 dipinti e 20 disegni autografi) e l'Accademia danno una immagine del ruolo centrale di Tintoretto nella vita di Venezia, ma anche di un'epoca con la presenza di altri autori. Una sequenza di capolavori, provenienti anche da musei e collezioni internazionali, che vanno idealmente da una "Sacra Conversazione" del 1540, prima opera datata dell'artista (Accademia), a un autoritratto del 1588 (Ducale). "Mi sembrò di essermi spinto all'estremo limite della pittura" scrisse Henry James dopo aver visto i dipinti di Tintoretto a San Cassiano. "Estremo limite" che il visitatore potrà cogliere davanti allo splendore de "Miracolo dello schiavo", fatto da Jacopo nel 1548, che chiude il percorso delle Gallerie. Un'opera che è punto di svolta verso un modo di dipingere spesso "fuoriscala" ed estremamente dinamico. Al Ducale, la scoperta delle opere più tarde, come Susanna e i vecchioni (1555), dei ritratti e dei dipinti a soggetto sacro, o del modus operandi di un pittore "incline a riutilizzare idee, disegni e perfino tele a volte già terminate". Le due mostre veneziane - a Washington sarà presentata un'ampia retrospettiva nella primavera del 2019 - assieme agli altri appuntamenti in città, sono frutto di una sinergia che ha impegnato varie realtà locali. Un aspetto di unione evidenziato dal sindaco Luigi Brugnaro.