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Teatro: deserto, confine e via per incontri multiculturali

di Maria Grazia Marilotti

CAGLIARI - Il deserto parte da una terra senza confine. Un palcoscenico su cui si stagliano come delle ombre. Figure misteriose, remote. Formano una sorta di cerchio.

Si sale sui bus, si parte. Nessuno conosce la meta. Racconta, tra riti e antiche sapienze, il viaggio di migranti di ieri e di oggi, "i nuovi abitanti delle città", Désert, una performance site-specific del regista e coreografo umbro Leonardo Delogu andata in scena lungo un itinerario Cagliari e dintorni.
Produzione di Fondazione di Sardegna (progetto AR/S), apre il nuovo ciclo di produzioni artistiche sul tema delle migrazioni.
Coprodotto con Sardegna Teatro (dà il via al cartellone autunnale), Sardegna Film Commission, e in collaborazione con Carovana SMI e Spaziodanza, il progetto è inserito in CagliariPaesaggio. E' curato da Maria Paola Zedda.

Il collettivo artistico milanese Studio Azzurro tradurrà l'esperienza performativa in un elaborato video. L'approdo è in una cava, un moderno deserto post industriale. Per raggiungerla si attraversano a piedi montagne, boschi, tra squarci di mare, natura e cisterne. Lungo il cammino appare un gregge di pecore condotte dal pastore, immagine che riapparirà "a sorpresa" nella performance al tramonto.

In questo paesaggio lunare, surreale, disegnato dalle montagnette bianche che fanno da quinta di fronte alla platea di spettatori, comincia il viaggio metaforico. La narrazione procede per piccole sequenze performative a comporre un rituale, tra danze, riti, gesti quotidiani come raccogliere la legna e accendere il fuoco. Sottolineati da una musica che arriva da chissà dove e che crea potenti suggestioni. In controluce appaiono, avanzano e scompaiono figure e silhouette. Tra loro forse i fantasmi di mille tragedie che hanno segnato il deserto.

Delogu mette a confronto i fenomeni contemporanei con la dimensione arcaica e archetipica del nomadismo. In una sorta di primo finale si accendono in mezzo al deserto le luci di una discoteca in un'atmosfera surreale. Poi gli artisti, professionisti e richiedenti asilo, si ricompongono per disegnare una linea che non è un confine ma una tavola imbandita con piatti della cucina mediterranea. I viandanti si mescolano al gruppo. Si riavvolge il nastro, il sogno svanisce, si rientra in città. Resta il ricordo nostalgico di quel deserto, via e confine, un po' più di consapevolezza di essere parte di un mondo in movimento, per fame, necessità, lavoro o desiderio di scoperta di luoghi e culture. E forse una migliore conoscenza dei nuovi abitanti dei nostri scenari urbani, i nostri nuovi concittadini.

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