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Fotografia etica per 'anticorpi contro razzismo'

LODI - "La fotografia in Italia sembra non esistere. Non c'è neppure una scuola pubblica". Per Alberto Prina "la fotografia è un'arte da sempre trascurata nel nostro Paese, nonostante il pubblico mostri grande interesse". È anche per questo che, insieme con Aldo Mendichi - con il quale aveva già creato il Gruppo Fotografico Progetto Immagine -, ha scelto la cittadina di Lodi per dare vita, nel 2010, al Festival della Fotografia Etica: una manifestazione che, anziché proporre le mostre dei classici, è nata con l'obiettivo di raccontare l'arte della fotografia nel rapporto con l'attualità e di essere ritrovo e occasione di scambio per fotografi provenienti da ogni dove. Anche quest'anno, per la nona edizione, fino al 28 ottobre Lodi si trasforma quindi in un percorso espositivo, le cui tappe si trovano nel raggio di poche centinaia di metri l'una dall'altra: un'esperienza divenuta, negli anni, un punto di riferimento solido all'interno del panorama europeo dei festival di fotografia (l'anno scorso ha contato oltre 15 mila presenze, il 30% in più del precedente) e che si distingue certamente da altri eventi fotografici per la scelta di voler scuotere gli animi e parlare alle coscienze. "Il nostro motto - ha detto Prina all'ANSA - è: 'Ci vediamo a Lodi', perché vogliamo che questo festival, nato dal basso, abbia un respiro globale, accolga il meglio della fotografia del mondo per far riflettere la collettività": scoprire, attraverso gli scatti selezionati, il mondo oltre i propri confini "aumenta la capacità di riconoscersi nell'altro, fa capire che aprirsi non vuol dire rinunciare ai propri valori, aiuta a difendersi dagli estremismi dell'interno, così da diventare un anticorpo vivente contro malattie contemporanee, come la paura o il razzismo".
    Le sezioni del festival sono molteplici. Anzitutto c'è quella dedicata alle fotografie del World Report Award 2018, selezionate da una Giuria composta da Prina e Mendichi, e da Sarah Leen, direttore della fotografia per National Geographic, Francis Kohn, presidente del World Press Photo 2016, e Caroline Hunter, picture editor per The Guardian Weekend. Tra i reportage di questa sezione: un lavoro sull'esodo forzato e disperato di 700mila persone della minoranza etnica di origine islamica Rohingya verso il vicino Bangladesh e uno sul conflitto nella valle del Kashmir. Ci sono, poi uno spazio tematico, quest'anno dedicato al rapporto tra l'uomo e gli animali; una sezione dedicata a un progetto di approfondimento sulle violenze sessuali nell'esercito americano; la sezione No profit, che quest'anno espone un lavoro sui droni; uno spazio corporate.
    Confermata anche la sezione "Uno sguardo sul mondo", in cui il festival va a immergersi in alcuni scenari sociali e umanitari particolarmente sensibili: qui troviamo un omaggio a Shah Marai, fotografo francese corrispondente di France Press, ucciso in un attentato a Kabul lo scorso 30 aprile, e il progetto dell'italiano Filippo Venturi sulla penisola coreana e sulle sue trasformazioni negli ultimi 64 anni. Una mostra è dedicata al Ponte Morandi di Genova: "Non vogliamo fare cronaca - ha detto Alberto Prina - ma osservare questo ponte come un simbolo, come un indicatore di un intero sistema organizzativo a livello nazionale che sta crollando". "Il mio desiderio è che il pubblico interagisca emotivamente con la fotografia e non torni a casa indifferente", ha detto l'organizzatore: "Utilizziamo la migliore fotografia reportistica del mondo per immergere il pubblico in un'esperienza profonda e totalizzante, che richiede la lentezza di un festival per essere elaborata".
    Un lungo lavoro ha consentito a Alberto Prina di realizzare un sogno, quello di restituire alla città, sostenendo più della metà delle spese, l'ex Convento di San Domenico, noto come la Cavallerizza. "Il sogno di questa edizione - ha concluso - sarà quello di trovare il prossimo sogno".(ANSA).
   

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