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Il genio di Inge Morath, fotografia e verità interiore

    CASA DEI CARRARESI (TREVISO)  - "Ama la gente e faglielo capire", sono diventate quasi uno slogan le parole scelte dal grande Robert Capa per indicare la rotta a chi si avvicinava alla leggendaria agenzia fotografica Magnum. Inge Morath prese sul serio questo comandamento. Preparava per mesi con cura minuziosa i suoi reportage in giro per il mondo, del luogo prescelto imparava la storia, la cultura, perfino la lingua proprio per creare una sintonia ancora più profonda con le persone che incontrava sul suo cammino. Tutto questo in anni in cui ad occupare la scena della fotografia erano quasi esclusivamente uomini. Morath entrò nel 1949 a far parte del gruppo di fuoriclasse della Magnum, prima come redattrice per passare alle foto nel 1953. Treviso la omaggia ora con la prima grande retrospettiva italiana - "Inge Morath: la vita, la fotografia", curata da Brigitte Bluml Kaindl, Kurt Kaindl e Marco Minuz - dal 1 marzo al 9 giugno alla Casa dei Carraresi: 170 foto che raccontano i suoi innumerevoli viaggi, le storie, gli incontri, i ritratti delle icone dello spettacolo e della cultura. "La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore", disse offrendo la chiave per leggere dentro e oltre i suoi scatti.Ingebor Morath (1923-2002), austriaca di Graz, aveva studiato a Berlino e dopo la guerra cominciò a collaborare con alcune pubblicazioni tedesche. Amica di Ernst Haas, suo connazionale, scriveva per lui i testi che accompagnavano i servizi fotografici. Uno di questi fece il giro del mondo: raccontava le donne che alla stazione di Vienna andavano incontro ai reduci di guerra. La prestigiosa rivista Life voleva assumerlo, ma Haas rifiutò. Accettò però l' invito di Robert Capa che stava avviando la Magnum e lo chiamò a visitare la sede di Parigi. Inge lo accompagnò e fu così che entrò, prima donna, tra i redattori dell' agenzia. Ad anticiparla come fotografa fu nel 1951 l'americana Eve Arnold, chiamata da Cartier Bresson. Capa consigliò a Inge di stare accanto al maestro francese e di fargli da assistente. Promossa nello staff dei fotografi, cominciò nel 1955 la serie dei grandi reportage: Venezia, Spagna, Danubio, Austria, Iraq, Iran, Stati Uniti. Nel 1960 con altri colleghi della Magnum fu a Reno, in Nevada, sul set del film The Misfits, (Gli Spostati) di John Houston su sceneggiatura di Arthur Miller, all'epoca marito di Marilyn Monroe. Nel 1962 Morath prese il posto della star nel cuore del drammaturgo e lo sposò restandogli accanto tutta la vita. Continuò i suoi grandi racconti di viaggio in Russia e in Cina e il marito le aprì la strada per i ritratti delle celebrità della letteratura, dell'arte e del cinema. Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, Picasso, Alberto Giacometti, Alexander Calder, Christina Onassis, André Malraux, Doris Lessing, Stravinskij, Louise Borgeois, Pierre Cardin, Fidel Castro... in mostra a Treviso oltre trenta foto raccontano questo capitolo specifico. Eppure, una delle sue immagini più famose - oltre alla Marilyn che balla sotto un albero durante le riprese del film - è quella del 1957 del lama che si affaccia dal finestrino di un' automobile a Times Square, nel centro di Manhattan. "Il momento magico è arrivato per descrivere, nel dettaglio e per la prima volta in Italia, la straordinaria vita di questa fotografa - dice Muniz -; una donna dalle scelte coraggiose, emancipata, che ha saputo inserire nella fotografia la sua sensibilità verso l'essere umano". Una sensibilità, osserva, "tutta femminile in un momento fotografico dominato dai grandi maestri" unita, specie nelle prime fotografie, a un gusto surrealista maturato nel periodo trascorso in Francia nel 1949. "In più - rimarca Muniz - Inge Morath sposa un approccio quasi umanistico che dopo la seconda guerra mondiale la porta a decidere di non ritrarre le guerre, rinunciando quindi a lavori importanti". Molto spazio è riservato anche ai documenti. Morath scriveva sempre, diari, articoli. Il suo obiettivo era "raccontare la realtà nel modo più diretto e meno fazioso possibile". Brillò anche come intellettuale nella cerchia di amici scrittori, artisti, grafici e musicisti. "Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima": spiegava così come fotografava nomi importanti e passanti. Il modo per avvicinarsi alle persone era lo stesso che la guidava per entrare nello spirito dei luoghi. "Prima di buttarmi su un progetto - scrisse nel 1975 - voglio conoscere il contesto, immergermi nella civiltà in cui mi devo muovere e conoscere almeno i rudimenti della lingua. In quel momento riesco ad arrivare con grande libertà a quello che Henri Cartier-Bresson definisce l'atteggiamento decisivo del fotografo: scattare la fotografia con un occhio ben aperto, che osserva il mondo attraverso il mirino, mentre l'altro è chiuso e scruta nella sua anima".

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