L'impiego della tecnologia ha trasformato il lavoro dell'archeologo. Se per alcuni aspetti è ancora un esploratore, come Ernesto Schiaparelli alla fine dell'Ottocento, oggi l'interazione con la chimica, la fisica o la radiologia lo rendono quasi un investigatore alla 'Csi'. Lo sanno bene i curatori dell'Egizio di Torino, che hanno deciso di dedicare la nuova mostra temporanea del Museo, da mercoledì 13 marzo al 6 gennaio 2020, proprio all''Archeologia Invisibile'. "Digitale e realtà virtuale fanno parte della nostra vita quotidiana - dice il direttore Christian Greco, che con l'egittologo Enrico Ferraris ha curato il progetto scientifico della mostra - fra le due dimensioni non serve alzare dei muri. La soluzione è instaurare un dialogo, che ci permette di capire meglio gli oggetti e, attraverso di loro, anche noi stessi". Per questo il punto di partenza sono i nostri oggetti quotidiani. Un disco dei Pink Floyd, un'auto giocattolo, una lampadina: fra un centinaio d'anni cosa racconteranno del nostro tempo? Con questo spirito i 'predatori del contesto perduto' si avvicinano a reperti con una storia di tre - quattromila anni. Un percorso in cui sono entrati i maggiori enti di ricerca e conservazione al mondo, dal Mit di Boston al Cnr, dai Musei Vaticani all'Eurac di Treviso, che ha prestato le sue strumentazioni d'avanguardia per studiare le mummie ai raggi X. "Su questa attività - spiega la presidente Evelina Christillin - il Museo ha investito ingenti risorse scientifiche e finanziarie, come in altre iniziative di collaborazione funzionali allo studio della collezione". L''Archeologia Invisibile' è quella che rende possibile studiare le mummie di Kha, l'architetto dei faraoni, e della sua sposa Merit, senza togliere le bende che ne hanno preservato i resti per 3.400 anni. Ma anche esaminare la composizione del 'blu egizio', il primo colore sintetico della storia dell'umanità, che oggi trova applicazioni anche in ambito medico. Servendosi della fotogrammetria gli egittologi riescono a ricostruire un modello digitale del sito di uno scavo da analizzare in seguito, come un detective che torna sulla scena del delitto. Dopo le sezioni dedicate allo scavo e all'analisi c'è il capitolo della divulgazione: la sala finale accoglie un modello in scala 1:1 del sarcofago dello scriba reale Butehamon, che con il video mapping racconta le fasi della sua costruzione, della decorazione, linvecchiamento e infine il restauro. "É la dimostrazione di un nuovo rinascimento - conclude il coordinatore scientifico Enrico Ferraris - quello in cui le scienze umane dialogano con quelle naturali". Con risultati ancora tutti da esplorare.
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