ROMA - Un bimbo che disegna la sagoma di un cavallo sul selciato, un flash della memoria per descriversi, come se in quell' immagine fosse già ben chiaro il suo destino di artista. La xilografia "Duilietto e il Cavallone" del 1936, - molto probabilmente frutto di un ricordo "inventato", fa parte dello sterminato materiale dell' archivio di Duilio Cambellotti, che nella prima metà del Novecento fu pittore, illustratore, ceramista, orafo, scenografo teatrale, scultore e fotografo restando fedele alla sua idea di classicità anche negli anni dell' influenza forte delle avanguardie. Mettere ordine tra gli oltre diecimila pezzi accumulati dal maestro-artigiano nella sua attività multiforme è il modo per svelare il suo processo creativo, dall' idea all' opera finita. Questo racconta la mostra "Vetrine dall' Archivio Cambellotti", curata da Daniela Fonti e Francesco Tetro, in programma a Roma fino al 9 aprile alla Galleria Russo.
Per l' esposizione sono state scelte 205 opere raccolte in aree tematiche (arti applicate, sculture, illustrazioni
le stesse in cui fu suddivisa la grande mostra allestita l' anno scorso dalla Gallleria a Villa Torlonia), per documentare il percorso dell' artista nato a Roma nel 1876 e il lavoro di catalogazione e di riordino dei materiali svolta in maniera sistematica dal 2013. In quell' anno Marco Cambellotti, figlio di Adriano, il primogenito dell' artista, ha affidato alla Galleria Russo la cura dell' archivio perché fosse gestito da specialisti secondo criteri scientifici. Ad inventarlo e a seguirlo per 50 anni, dopo la morte del maestro nel 1960, era stato il figlio minore Lucio ma chiamarlo archivio è un azzardo: era un deposito, gli oggetti non avevano una catalogazione, ammucchiati nello fatiscente studio-abitazione di Duilio, all'ultimo piano di un edificio in Lungotevere Flaminio. Nel 1989 Marco ha cominciato il lavoro sistematico, catalogando fino ad oggi quasi ottomila opere (dalle più importanti ai foglietti di schizzi e appunti) " con l' obiettivo di facilitare mostre, conferenze, tesi di laurea, e far conoscere l' artista ad un pubblico più vasto.
Fabrizio Russo, l' animatore della Galleria, osserva che "senza un Archivio serio, puntuale e onesto, l'artista di riferimento, seppur importante, non potrà in alcun modo aver futuro. Lo scopo finale è il rilascio di autentiche destinato al mercato ma anche offrire un ulteriore strumento di studio e di ricerca". Per questo l'archivio dell'opera di Duilio Cambellotti sta lavorando per una catalogazione "finalizzata alla nascita, ormai prossima all'edizione, del primo volume del Catalogo generale dedicato all'Artista".
Duilio Cambellotti nel suo essere multidisciplinare toccò livelli di valore straordinario soprattutto come illustratore e scenografo teatrale. Intendendo il teatro come "arte totalizzante", disegnò le scene e i costumi per La Nave, di Gabriele D'Annunzio, nel 1908, al teatro Argentina di Roma; per Agamennone di Eschilo, nel 1914, e altre grandi tragedie al Teatro Greco di Siracusa con cui continuò a collaborare per oltre 30 anni. Al lavoro di decoratore di villini e residenze private, affiancò intorno al 1910 l' impegno ispirato dalla sua visione socialista a costruire scuole nella campagna romana per l' istruzione e l' emancipazione dei contadini. Sull' "arte come progetto educativo e collettivo" sofferma l' attenzione Francesco Tetro, direttore del Museo Cambellotti di Latina, mostrando come il maestro puntasse a prendere per mano il pubblico popolare più disponibile a immergersi nella rappresentazione teatrale quasi fosse un rito, a differenza di certa platea borghese che considerava la partecipazioni agli spettacoli "non più come un atto di cultura ma un diversivo dopo le occupazioni del giorno". Daniela Fonti mette in luce la "circolarità" del lavoro creativo di Cambellotti. L' artista, anche a distanza di tempo, "riprende un'idea magari appena accennata tanti anni prima a matita sul verso di un foglio che lo vide in quel momento concentrato su tutt'altri temi e soggetti. Ci è accaduto così di trovare, aprendo i suoi straripanti cassetti, una prima idea del Buttero (1918-1919), fra le sue più folgoranti realizzazioni plastiche, appena schizzata al centro di un cerchio, forse pensata per una medaglia. Il buttero avvolto nella nebbia come nel suo mantello è forse un altro ricordo ricostruito a posteriori, come l'episodio del piccolo Duilio che sogna in grande il cavallo omerico di una Troia di cui forse ha sentito parlare in famiglia".
Caricamento commenti
Commenta la notizia