Il geometra Andrea Bonafede al settimo piano della clinica La Maddalena lo conoscevano ormai quasi tutti i medici e i sanitari. A molti, nelle tante volte in cui dal 2021 era stato curato al reparto oncologico, aveva regalato bottiglie di olio di Castelvetrano e fatto perfino qualche confidenza sul suo stile di vita riservato: «Amo stare da solo, ma mi piacciono le cose belle», era una delle frasi usate per descriversi. Modi garbati, a tratti affabile. Un insospettabile: così a taccuini chiusi lo ricordano medici e sanitari. Bonafede/Messina Denaro era arrivato al centro di eccellenza per le cure oncologiche con una diagnosi terribile: adenocarcinomia mucinoso del colon. Secondo una ricostruzione fatta a caldo ieri mattina, la prima cartella clinica presentata è quella compilata il 24 novembre 2020. Ma non a Palermo. La prima diagnosi - sempre intestata ad Andrea Bonafede - porterebbe la firma del dottor Michele Spicola, patologo dirigente dell'Asp di Trapani, presso l'Ospedale Vittorio Emanuele II di Castelvetrano. Il tumore di Messina Denaro è uno dei più aggressivi, avrebbe scritto lo stesso medico in termini molto tecnici.
Dopo questa diagnosi Messina Denaro avrebbe subito un primo intervento, per asportare il tumore al colon, che sarebbe stato eseguito all’ospedale Abele Ajello di Mazara. Da questo momento in poi però Messina Denaro cambia ospedale. E si fa curare a La Maddalena, a Palermo. Il tutto, come per qualsiasi altro paziente, senza pagare nulla: il boss è stato curato con costi a carico del servizio sanitario nazionale, visto che le sue erano terapie salvavita.
A La Maddalena Messina Denaro è stato seguito dal reparto oncologico guidato da Vittorio Gebbia. Il più all’avanguardia in Sicilia. È lì che al boss, registrato nelle cartelle cliniche come ex fumatore, sono state diagnosticate anche le metastasi al fegato per le quali ha subito un altro intervento. Prima del quale, ricordavano ieri i medici, aveva scherzato: «Rimettetemi a posto, ché devo tornare in palestra».
Anche ieri Messina Denaro doveva sottoporsi a una seduta di chemioterapia in day hospital. E per questo aveva fatto il tampone per il Covid e si era già registrato all’accettazione.
Ieri a caldo in clinica ha prevalso lo stupore. Molti medici e sanitari che conoscevano il geometra Bonafede lo hanno descritto come «un paziente sempre gentilissimo, calmo e sorridente, con un certo stile. In reparto aveva la giacca da camera, metteva soprabiti in pelle con camicie stile hawaiano, parlava del suo amore per le donne. Aveva detto di avere due figlie che però vivevano fuori e di non avere altri parenti».
Le testimonianze di altri pazienti
«Faceva la chemio con me ogni lunedì. Stavamo anche nella stessa stanza, era una persona gentile, molto gentile». Queste le parole di chi, inconsapevolmente, ha condiviso le cure con il boss Matteo Messina Denaro. A parlare una donna che tra maggio e novembre si era sottoposta al ciclo di chemio: «Per tutta l’estate abbiamo fatto le terapie insieme e lui veniva anche con la camicia a maniche lunghe». Da quanto emerge dalle testimonianze, l’ultimo capo dei capi si era creato una cerchia di amicizie: «Ci sono anche mie amiche che hanno il suo numero di telefono. Lui mandava messaggi a tutti. Ha scambiato messaggi con una mia amica fino a questa mattina, chiedendole “oggi sei a chemio?’’ Lei è ora sotto shock a casa».
E sotto shock lo sono anche i medici della struttura ospedaliera, che per oltre un anno ha ospitato e curato inconsapevolmente il boss. Fino a poco prima dell’arresto si era salutato con un medico, fuori dal bar. Nella struttura sono rimaste le restrizioni e le imposizioni anti Covid per proteggere i pazienti più fragili: «Tutti indossano la mascherina e i medici sono bardati - racconta un operatore - è praticamente impossibile riconoscerlo, anche perché da qui passano centinaia di persone al giorno». C’è uno stato di turbamento in tante persone. «Sembrava una persona perbene, educata e sofferente per la malattia», racconta Emma, una ragazza che alla clinica Maddalena il lunedì accompagna la suocera a fare la chemioterapia proprio al settimo piano in oncologia. È lì che ha conosciuto «Andrea Bonafede», come ha detto di chiamarsi. «Abbiamo parlato, ma mai avrei pensato che fosse il latitante più ricercato al mondo - racconta Emma -, non l’avrei mai associato alle foto che circolavano di lui. Parlava della malattia e di come reagiva alle terapie. Mi ha detto che viveva a Campobello di Mazara. Aveva stretto amicizia con una ragazza di Palermo e lui parlava molto con lei, ma anche con noi del gruppo. Era curioso di sapere come reagivano alla chemio gli altri e sembrava proprio una persona tranquilla». Emma ha raccontato che ieri mattina è stata un’ora chiusa in una stanza perché i carabinieri hanno ordinato loro di stare tutti chiusi nelle stanze. «Ho avuto paura, credevo ci fosse un attentato in corso».
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