Lunedì 23 Dicembre 2024

L'Italia è ricca di gas naturale: ecco perché non viene estratto. Cos'è e cosa prevede il Piano PiTESAI

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L’impennata dei prezzi delle materie prime e del gas in particolare è iniziata ben prima della guerra tra Russia e Ucraina a causa della scarsità di gas  dovuta alla stagione fredda più lunga del solito nel 2021. L’Italia utilizza ogni anno 76 mld di metri cubi di gas anche per produrre la metà dell’energia elettrica e importa da Mosca quasi il 40% di quello che consuma. Il governo sta considerando diverse opportunità per accrescere l’autonomia della Penisola. Oltre all’aumento delle forniture da altri Paesi a cominciare dall’Algeria si valuta l’ipotesi di aumentare di 2,2 miliardi di m³ la produzione propria riattivando circa 50 piattaforme. L'80% del nuovo gas potrebbe arrivare dal Canale di Sicilia. Un ulteriore 15% da Emilia Romagna e Marche e il restante 5% dalle acque prospicienti Crotone. Nei giacimenti italiani ci sono circa 350 miliardi di metri cubi di gas ma ogni anno ne estraiamo solo 3,3 miliardi di m³ anche per rispettare i limiti imposti dal piano PiTesai. I vincoli prescritti dal 2019 nascono con l’obiettivo di garantire la tutela ambientale. Stando ai dati Ispra del 2014 i fondali marini al di sotto delle piattaforme avevano superato i livelli di guardia dell’inquinamento nel 79% dei casi. Per questo Greenpeace lancia l’ennesimo allarme e invita il governo a incentivare le rinnovabili come fotovoltaico ed eolico per archiviare il gas fossile il prima possibile.

Cos'è e cosa prevede il Piano PiTESAI >>> 

iL 12 febbraio 2022 Si è concluso l’iter di approvazione del Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI) fortemente voluto dal ministro della Transizione Ecologica  Cingolani per sanare il ritardo della sua pubblicazione attesa da anni. Il Piano individua le aree in cui è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale.
L’iter ha visto un complesso lavoro iniziale di mappatura, portata avanti insieme ad istituti di ricerca specializzati (Ispra, Rse), in seguito al quale il Ministero della Transizione Ecologica ha proposto il Piano che è stato così sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica (VAS), processo che prevede una fase di consultazione interamente pubblica. Il 29 settembre 2021, in linea l’impegno preso, il Piano è stato consegnato dal MiTE avviando così la fase di interlocuzione con la Conferenza Unificata che a dicembre 2021 si è pronunciata positivamente, proponendo il vincolo di valutazione di possibili attività connesse a permessi di ricerca limitandole esclusivamente al gas.
Il PiTESAI ha l’obiettivo di fornire regole certe agli operatori e di accompagnare la transizione del sistema energetico nazionale definendo le priorità sia in un’ottica di decarbonizzazione - in linea con gli accordi internazionali di tutela dell’ambiente e della biodiversità - che del fabbisogno energetico. Nella realizzazione del Piano, si è tenuto conto dei criteri di sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale ed economica.
A questo link il PiTESAI e gli approfondimenti.

Per Europa più facile rinunciare al carbone che al gas russo

 L'Unione europea si prepara a colpire il carbone di Mosca con nuove sanzioni e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha anticipato che l'Unione dovrà imporne anche su petrolio e gas russo, "prima o poi". L'Ue rimane tuttavia restia a fare quest'ultimo passo. Ecco uno sguardo alle ragioni dietro questo scenario.

UNA MANNA PER LA RUSSIA

La Russia è un importante produttore di combustibili fossili e lo scorso anno le entrate derivanti da petrolio e gas hanno rappresentato il 45% del bilancio federale, secondo dati dell'Agenzia internazionale per l'energia. Per questa ragione il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha esortato l'Ue a smettere di acquistare energia da Mosca, in modo che "la Russia non abbia più soldi per questa guerra". La Russia ha esportato quasi 5 milioni di barili al giorno di petrolio nel 2020, di cui la metà è andata a paesi europei, in particolare Germania, Paesi Bassi e Polonia, secondo dati Usa. Gli Stati Uniti, uno dei principali produttori di energia, hanno imposto un embargo sulle fonti energetiche russe, petrolio incluso. Ma finora sul tavolo in Europa c'è solo una proposta da parte della Ue per vietare le importazioni di carbone, anche se quest'anno Bruxelles ha detto di mirare a ridurre di due terzi gli acquisti di gas russo.

IL CARBONE SI PUÒ RIMPIAZZARE

La Russia detiene il 15% delle riserve mondiali di carbone, secondo il rapporto annuale di BP sull'energia globale. Alcuni paesi europei come Germania e Polonia dipendono soprattutto dalla Russia per il carbone, utilizzato per produrre elettricità. La tendenza nell'Ue è di abbandonare il carbone, inquinante, come fonte per la produzione di energia: il consumo di combustibili fossili solidi è sceso così da 1,2 miliardi a 427 milioni di tonnellate tra il 1990 e il 2020, secondo stime del think tank Bruegel, con sede a Bruxelles. Mentre gli europei chiudevano le loro miniere sono tuttavia diventati più dipendenti dalle importazioni. L'Ue ha acquistato 40 milioni di tonnellate di carbon-fossile russo nel 2020 (il 54% delle importazioni) rispetto agli 8 milioni di tonnellate del 1990 (7%). Ma la Germania prevede di rinunciare al carbone russo entro il prossimo autunno. "Il carbone russo può essere sostituito perché i mercati globali sono ben forniti e flessibili", ha osservato Bruegel. Altri grandi produttori di carbone includono gli Stati Uniti, da dove l'Ue importa oggi il 17,5% del carbone o l'Australia, che rappresenta il 16% degli acquisti dell'Unione. Tra le altre opzioni ci sono Sudafrica o Indonesia.

SOSTITUIRE IL PETROLIO RESTA POSSIBILE

La Russia è il più grande esportatore mondiale di petrolio e fornisce oltre il 25% del greggio per l'Ue, secondo dati Eurostat. Nei primi sei mesi del 2021, la Russia ha fornito il 75% del greggio a Bulgaria, Slovacchia, Ungheria e Finlandia. "In linea di principio, sostituire il petrolio russo sarà più facile che sostituire il gas russo" perché le importazioni avvengono via nave e non attraverso infrastrutture come gli oleodotti, ha scritto Bruegel. Gli esperti hanno fatto riferimento anche al fenomeno dei "vasi comunicanti": i barili russi potrebbero essere alla fine venduti in Cina, sostituendo quelli mediorientali, che sarebbero così a disposizione dell'Europa. Ma la Russia esporta anche 1,5 milioni di barili al giorno di diesel, da cui l'Europa è molto dipendente. Un embargo "rappresenterà un vero problema per il diesel", ha avvertito il ministro francese per la Transizione ecologica Barbara Pompili. Se c'è un embargo, sarà necessario trovare altre fonti di diesel, e non solo di petrolio greggio. Il colosso energetico francese TotalEnergies prevede di importare petrolio dalla sua raffineria saudita.

SCELTA COSTOSA

La Russia esporta gas in Europa attraverso una rete di gasdotti. Con 155 miliardi di metri cubi importati ogni anno, il gas russo rappresenta il 45% delle importazioni a livello Ue e soddisfa quasi il 40% del fabbisogno per quanto riguarda i consumi. Un potenziale embargo su tutta l'energia russa continua a dividere l'Europa, perché alcuni stati sono più dipendenti di altri, come la Germania, dove il 55% del gas proviene dalla Russia. "Le consegne di gas russo non sono sostituibili" e interrompere i flussi "danneggerebbe più noi della Russia", ha avvisato il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner. Secondo Eurostat, l'anno scorso il gas russo rappresentava il 75% delle importazioni di dieci paesi Ue - Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Lettonia, Romania, Slovacchia e Slovenia. Gli stati baltici hanno smesso di importare gas russo questo mese e stanno utilizzando le loro riserve. Privandosi completamente del gas russo, l'Europa avrebbe difficoltà a rifornire i suoi depositi di gas in vista del prossimo inverno. Gli esperti affermano che l'Europa potrebbe sostituirlo solo in parte aumentando le importazioni da altri paesi, anche sfruttando il gas naturale liquefatto (GNL) che arriva via nave. Potrebbe quindi essere necessario ridurre il consumo di gas anche limitando la produzione di alcune industrie. Il Consiglio di analisi economica (CAE) francese, un organismo incaricato di offrire pareri d'indirizzo a Parigi, ha calcolato che un embargo sull'energia russa - gas incluso - costerebbe alla Germania tra lo 0,3 e il 3% del suo Pil. E "Lituania, Bulgaria, Slovacchia, Finlandia o Repubblica Ceca potrebbero subire cali del reddito nazionale tra l'1% e il 5%", ha aggiungo il CAE.

 

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