Metti una sera a Messina. Un teatro stracolmo di bene, di fattori positivi. L’atmosfera “arte fatta“, brillante e dorata del Natale, con le sue regole piene d’eccezioni e un palco che diventa la scena della festa. Perché quando s’infiocca un regalo significa festa, è solennità. L’ha fatto il Gdshow, l’evento voluto ed organizzato da Fondazione Bonino Pulejo e Ses, Società Editrice Sud (Gazzetta del Sud, Giornale di Sicilia, Rtp e Tgs), con il presidente Lino Morgante in testa. Ha messo in opera una manifestazione d’interesse collettivo nel quale la Mensa di Sant’Antonio (che riceverà il ricavato della serata del Vittorio Emanuele) è il simbolo di tutti quei volti coi lineamenti dell’umanità, di ogni luogo che è tutti i luoghi, che si trova nel buio della strada, che sta nel retro di vetrine illuminate, nel silenzio di giornate chiassose. La mensa di Sant’Antonio come quei posti nel mondo che vanno oltre il luogo, che se c’è compassione non è pena, se c’è solidarietà non è elemosina. L’ha fatto il Gdshow, con le istituzioni (in platea anche la prefetta Cosima Di Stani e il sindaco Federico Basile) in mezzo alla gente di tutti i giorni, tutti uguali, tutti diversi, tutti volontari. Per portare a compimento la missione più nobile, la più istintiva, semplice ma non facile, gratuita. Dopo le edizioni del Teatro Antico nel 2018 e 2019, dopo i due anni fermati dal Covid, «siamo qui per un gesto d’amore nei confronti della comunità di padre Mario. Grazie #cuttutuucori». È toccato a Salvo La Rosa (impreziosito dalla presenza al suo fianco della «brava e bedda» Chiara Esposito) spianare la strada, aprire alla sfilata di artisti che uno per uno si sono passati il testimone della staffetta. In un paio d’ore leggere, staccate dalle pressioni della vita eppure inevitabilmente legate alle ragioni del mondo Prima Nino Frassica lo scrittore, col suo nuovo libro intitolato a “Paola” (non l’ultimo, «mentre aspettavo di entrare ne ho scritto un altro: “Vita, opere e mani di Gianni Morandi”»), il suo primo romanzo sottobraccio. Nino “u putruni”, così lo chiamavano da ragazzino, quando scansava i lavori pesanti «esattamente come da grande, infatti faccio l’attore». Poi il Frassica dell’assurdo, che all’anagrafe fa “Toni Dansistar 2000, professione intellettuale e showgirl, sagittario da parte di mamma, sport praticato caciocavallo e corsa in taxi, campione di nascondino nel ‘78, unica dieta della vita quella che in 2 mesi ho perso 3500 euro, unico intervento estetico fatto al seno, piatto preferito petto di pollo di tacchino, scaramantico se no porta male, per animale domestico ho in frigo un tonno di 8kg, nella vita privata sono balbuziente ma quando c’è gente siccome mi vergogno parlo normale”. Dopo aver fatto l’amore? «Saluto tutti e me ne vado». Lui, l’istrione che se macina miglia di comicità si sa fermare e, accompagnato da Toni Canto, parla per i bambini mentre cunta ai grandi che «A mare si gioca». Ecco la chiave: cambiare registro per cambiare le cose. Approfittare del mestiere e rinunciare al profitto, prendere posizione. Mario Biondi, tra una eterna “Love is a temple” e la più stagionale “Have yourself of marry little Christmas”, ci ha messo dentro tutto il «piacere di essere qui a Messina, non so cosa stia succedendo nella mia vita, ma è una città ricorrente. Mio nonno Mario è nato a Messina. I miei musicisti (Massimo Greco al pianoforte e David Florio alla chitarra) sono di Messina». Un normanno di colore, scuro di voce, padre pluridecorato, che ha girato Europa e mondo, (dalla Grecia a Londra, alla Germania). «I festival ci fanno sentire veri artisti internazionali. Allora che vada tutto per il meglio, che i soldatini smettano di parlare di guerra, che si ricominci dallo sviluppo di una società sensata». Cambiare registro per cambiare le cose. Cambiare generazione per cambiare prospettiva. “Canzoni come figli” e i figli come i padri: il tempo di Lda, di Luca D’Alessio che, a diciannove anni e con una carriera che già mantiene quello che ha promesso, dopo Amici e varie hit e l’annuncio della sua partecipazione tra i Big del prossimo Festival di Sanremo, è sbarcato sullo Stretto per dare il proprio contributo. La risata quella pura non poteva mancare. Soprattutto se nei paraggi s’insinuano tipi come Enrico Guarneri e il suo “Litterio capocarriola”, Manfredi Di Liberto con mimo e manichino e Giuseppe Castiglia armato di barzellette a forma di sceneggiature. Tre geni della risata, tre siciliani d’origine controllata in anni d’esperienza, certificata e protetta dagli applausi del pubblico. Tre geni della risata titolari di altrettanti programmi di successo: “Ma non finisce qua” di Castiglia, ‘È tutto un programma’ di Di Liberto e “Le avventure del Signor La Rosa e del signor Litterio’ di Guarneri. E il grande Guttuso stava a guardare, dal tetto puntava le altezze di sotto. Di una serata concentrica, corrente, alternata. Voce del verbo donare quando si fa carne sulla tavola di una mensa.