Il brano denuncia la situazione critica delle carceri italiane negli anni Ottanta e la sottomissione dello Stato al potere della criminalità organizzata, attraverso il racconto dell'interazione tra Pasquale Cafiero, brigadiere del Corpo di polizia penitenziaria del carcere di Poggioreale, e il boss camorrista "don Raffaè" che si trova incarcerato in tale struttura (personaggio che dà il titolo al brano). L'agente di custodia, sottomesso e corrotto dal potente malavitoso, gli offre speciali servigi (come, ad esempio, fargli la barba), gli chiede diversi favori personali (come il prestito di un cappotto elegante da sfoggiare a un matrimonio o la ricerca di un lavoro per il fratello disoccupato da anni), se lo ingrazia con molti complimenti e gli offre ripetutamente un caffè, del quale esalta la bontà. Il testo evidenzia anche, con ironia, quanto il boss all'interno del carcere conduca una vita agiata e di privilegi.
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