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Fulminacci: dalla cameretta a Sanremo - INTERVISTA

Fulminacci d’impatto sa di dispregiativo, no? “E’ un’esclamazione dei fumetti anni ’60. Braccio di ferro diceva ‘fulminacci’ anziché le parolacce. E’ una crasi col mio nome, Filippo e fa rima col mio cognome, Uttinacci, dispregiativo pure quello!”

Lui ha cominciato a scriversi da lì. Poi un Sanremo appena cantato, una Targa Tenco già in bacheca e due dischi, “La vita veramente” (2019) e “Tante care cose”, fuori da poco. A cavallo del lockdown, appena prima e subito dopo. Il primo, Fulminacci neanche sapeva che sarebbe stato un disco mentre lo scriveva. Non percepiva di star componendo qualcosa, durante. Era semplicemente in camera a far musica. Il secondo, invece, già era chiaro che sarebbe stato pubblicato. Parla proprio di quello che gli è successo negli ultimi due anni. Una raccolta di sentimenti, con più coscienza di sé.

Hai pensato anche al gusto degli altri? Dei tuoi altri? “Senza abbandonare la mia verità, senza perdere l’istinto. Spesso le cose che vuoi ottenere non arrivano nel modo più diretto. Sono inaspettate, da qualsiasi parte le guardi”

La tua cameretta, per un po’ i tuoi pezzi li hai tenuti lì. Ma senza confronto, come si definisce l’artista? “Non so se la mia parabola è tipica. Sono partito dalla timidezza che mi impediva di cantare. Non avevo affrontato la questione con me stesso. Ma finché sei solo nell’apprezzare o meno quello che fai, non hai la dimensione, vivi il particolare, ti manca il totale”

Quanto ti è costato e cosa hai guadagnato? “Ho cominciato tra i banchi di scuola, con canzoni orrende che non usciranno mai. Studiavo recitazione, la musica era passatempo. Poi ho fatto ascoltare qualche pezzo ai miei, mi hanno incentivato a portarli fuori casa e da lì il riscontro, la fiducia”

“Tante care cose” è pieno di punti interrogativi e immagini della vita alla tua età… “Ho voluto catturare momenti di questo presente. Scrivere canzoni è rubare al tempo qualcosa che il tempo vuole portarti via. La tieni là, lo trovo prezioso. “Meglio di così”, ad esempio, parla di un tavolo attorno al quale sono sedute persone che stanno bene e basta. Mi fa pensare a quanto sia facile essere contenti, mi ci fa fare caso”

Questa attenzione è l’eredità buona di una brutta crisi? “Forse. Io sono cambiato moltissimo in pochissimo. Dopo la fase di paura e paranoia ci siamo abituati, abbiamo preso le misure. Come quando hanno vietato di fumare in aereo. Adesso sembra ovvio, folle pensare il contrario, eppure deve esserci stato un periodo in cui le persone si sono dette…’cosa? Non si fuma in aereo?’. Ecco, così è l’uomo e la sua capacità d’adattamento”

Tempo. Il tuo è davanti, la tua storia la scriverai. Tra dieci anni? “Mi piacerebbe aver imparato a suonare bene il pianoforte. Sto cominciando adesso, il mio strumento principale è la chitarra. La tecnica fa godere del mestiere e delle sue sfaccettature”

Il pianoforte, perchè? “Perché la musica lì, sui tasti, si vede. Appena ho messo le mani sul piano ho capito cose che altrimenti non avrei mai scritto. Il basso, la visualizzazione, la visione: sono molto sedotto da questo strumento”

Ma poi… hai capito com’è la vita veramente? “Diciamo che so godermi di più il ‘circondario’, so vedere l’evoluzione senza rinnegare il precedente, so riascoltarmi con tenerezza"

“Tante care cose” sa di augurio ma anche di saluto… “Volevo chiamare il secondo disco così… da prima del primo. Sono 3 parole semplici, estremamente, popolari, mi piace il suono che fanno. Se è un augurio, è che tutto si possa risolvere. Se è un saluto, lo è alle cose brutte”.

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