Si chiama Sphinks l’algoritmo grazie al quale l’intelligenza artificiale sta imparando a dare la caccia ai tumori maligni, a partire da quelli del cervello: li riconosce e, per ognuno di essi riesce a individuare le armi più efficaci per combatterlo: è uno dei passi più importanti e recenti verso la medicina di precisione, pubblicato sulla rivista Nature Cancer dal gruppo di Antonio Iavarone e Anna Lasorella, del Sylvester Comprehensive Cancer Center della Miller School of Medicine dell’Università di Miami. «Siamo in grado di combinare i dati ottenuti da piattaforme di analisi di proteine tumorali e delle loro modificazioni per individuare gli enzimi, chiamati chinasi, che producono segni distintivi nelle cellule maligne. Per molti di questi enzimi esistono inibitori specifici, che rappresentano quindi potenziali bersagli terapeutici», dice Iavarone all’ANSA.
E’ la nuova ventata di una rivoluzione che adesso si avvicina a dare i suoi frutti e che nasce in laboratori un po' diversi rispetto a quelli tradizionali: «Il 50% dello spazio del laboratorio è computazionale, con la possibilità di collegarsi a grandi reti. Si chiama Dry Lab - aggiunge il ricercatore - per distinguerlo dal tradizionale Wet lab», dove nel frattempo sono diventati di casa gli aggregati di cellule che riproducono i tumori in miniatura, i cosiddetti organoidi.
E’ il punto di arrivo di una via aperta dieci anni fa dallo stesso gruppo di ricerca. L’algoritmo Sphinks ("Substrate Phosphosite based Inference for Network of KinaseS) è il secondo nato dalla ricerca di Iavarone. Il primo aveva imparato a riconoscere una forma di tumore, il glioblastoma mitocondriale, per il quale esistono possibilità di terapia e diverso rispetto alle altre tre famiglie di tumori maligni per cui questa possibilità non esiste. Sphinks ha raccolto la sfida della caccia ai tre gruppi di tumori più sfuggenti: «identifica le proteine chinasi fondamentali, diverse per ognuno dei 3 gruppi» e «grazie a questo strumento - ha detto ancora Iavarone - l’analisi diventa possibile per ogni singolo paziente se abbiamo a disposizione i dati relativi all’analisi di tutte le proteine del tumore. Non sono, infatti, i geni che fanno funzionare i tumori, ma le loro proteine».
E’ una nuova strada in quanto finora le proteine dei tumori non si utilizzavano nella pratica clinica, ma adesso diventa possibile «indicare a ogni singolo paziente il suo bersaglio terapeutico, singolarmente se c'è l’analisi delle proteine, oppure individuando la famiglia alla quale appartiene il tumore». Ci sono infatti tumori che hanno somiglianze di famiglia e le prime, per esempio, sono state individuate fra i tumori di cervello (compresi quelli pediatrici), polmone e seno. «Stiamo esplorando il concetto di «basket trial», ha affermato il Prof. Iavarone, «cioè di studi clinici che includano pazienti con lo stesso sottotipo biologico in tumori diversi. Se i pazienti con glioblastoma o carcinoma mammario o polmonare hanno caratteristiche molecolari simili, essi possono essere inclusi nello stesso protocollo clinico con la possibilità di portare rapidamente ai pazienti i farmaci più efficaci possibili per i loro tumori».
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