Un film che segna il suo esordio alla regia, la partecipazione al festival di Sanremo, un ep pronto a essere pubblicato. Un periodo intenso per Fabrizio Moro. «Come faccio a gestire tutto insieme? Non dormo più, ma sono felice perché ho dormito pure troppo in questi due anni di pandemia in cui, come tutti, sono stato a casa. Ora sto cercando di raccogliere tutta la fatica fatta: sono molto positivo, energico e volenteroso. E lucido su tutti i progetti». L’esordio da regista e sceneggiatore, insieme ad Alessio De Leonardis, lo segna «Ghiaccio», con protagonisti Giacomo Ferrara e Vinicio Marchioni (una produzione La casa rossa con Tenderstories in associazione con L’Università Telematica San Raffaele Roma in collaborazione con Sky e con RTI, distribuito da Vision Distribution, in sala come evento il 7, 8 e 9 febbraio e poi su Sky). Una storia di coraggio e riscatto sociale nella periferia romana del Quarticciolo a fine anni Novanta, una storia che corre di pari passo con quella di Moro, cresciuto in quegli stessi anni nel quartiere di San Basilio. Il protagonista è Giorgio, un ragazzo (interpretato da Ferrara) che ce la mette tutta per cambiare, attraverso il pugilato e con l’aiuto del suo allenatore (Marchioni), un destino che sembra già scritto. «La boxe però in tutto questo è solo una metafora - racconta ancora Moro, che grazie alla pausa forzata del covid ha potuto mettersi al lavoro su questo progetto al quale pensava già da tempo -, il film è sull'amore in tutto le sue sfaccettature. Perché è l'amore che alla fine ti salva sempre». Nel cast anche Claudio Camilli, Beatrice Bartoni, Sara Cardinaletti, Valerio Morigi, Lorenzo Grilli, Emanuele Propizio, Mauro Cremonini e Lidia Vitale. Moro, oltre a essere impegnato nella regia e nelle sceneggiatura, firma anche la colonna sonora del film, che chiude con il brano Sei Tu, in gara a Sanremo, dove vinse nel 2018 con 'E non mi avete fatto nientè insieme a Ermal Meta (e nel 2007 nella categoria Giovani con 'Pensà). «Sei tu racchiude lo stesso concetto del film: l’amore è l’unica via di uscita ed è un ringraziamento a chi mi ha salvato dalla parte più brutta di me stesso, dalla depressione che alle 5 di mattina ti bussa alla porta». E allora, tra cinema e musica, meglio un David di Donatello o un leoncino di Sanremo? «Oddio, non lo so, non ci ho pensato e non ci voglio pensare. La competizione mi mette ansia. Spero solo di arrivare al cuore delle persone. Però diciamo che in questo momento vado all’Ariston sentendo la responsabilità del film». Eppure lui quel palco lo dovrebbe ormai conoscere bene. "L'approccio è sempre lo stesso come sono le stesse le domande e i dubbi, la paura non cambia mai». Per la serata delle cover ha scelto Uomini soli, «non perché ci sia un motivo emotivo, ma perché già da ragazzino la cantavo bene ai matrimoni». Ma dove si sono incontrati cinema e musica? «Nella scrittura, perché io scrivo storie, fin da ragazzino. Invento favole anche per i miei figli. E’ un modo per esprimere ciò che è dentro di me. Non trovo che scrivere canzoni sia tanto diverso dallo scrivere film, anzi il musicista è il secondo lavoro, il primo è lo scrittore. E’ l’aspetto tecnico che è diverso: sul palco sei sotto i riflettori e vieni giudicato per quei tre minuti di esibizione, con la regia sei dietro la macchina da presa e hai più tempo per riflettere. Io che sono un emotivo lo preferisco». E conferma di essere già al lavoro, sempre con De Leonardis, su un altro soggetto. Il 4 febbraio esce anche l’ep «La mia voce», a quasi due anni di distanza dall’album precedente, «Figli di Nessuno», che sarà seguito da un secondo capitolo di inediti ad ottobre. «Un ep, perché non avevo considerato di andare al festival. Avevo pochi brani pronti, ma volevo dare qualcosa di nuovo a chi mi ascoltare e anche per andare in tour. Stavolta speriamo nella normalità».