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L'ultimo saluto a Pablito, la bara sulle spalle dei campioni dell'82

Paolo Rossi, il mito diventato già leggenda dello sport italiano e del calcio mondiale, campione non solo col pallone ma anche di umanità, oggi ha ricevuto l’ultimo commovente saluto dai suoi amici, dai tanti suoi compagni di squadra, dalla sua gente.

Lunghi applausi, accompagnati dal suono delle campane del Duomo di Vicenza. Si sono conclusi i funerali di Paolo Rossi: la bara, chiara con la maglia azzurra della nazionale e la sciarpa della Lanerossi Vicenza, è uscita dalla chiesa portata a spalla dai campioni del mondo dell’82, così come era avvenuto all’ingresso. Davanti Antonio Cabrini e il figlio più grande di Pablito, Alessandro. In chiesa c'era anche Roberto Baggio.

"Mi auguro che Paolo abbia visto tutto questo affetto perchè lui era una persona semplice e generosa, era della gente, di tutti e io adesso sono quello che lui ha creato insegnandomi ad avere coraggio e di affrontare i problemi con il sorriso». Sono le parole di Federica Cappelletti, moglie di Paolo Rossi al termine del funerali a cui hanno potuto partecipare circa 250 persone, numero limitato a seguito delle norme anti contagio da Covid-19. Accanto alla moglie di "Pablito", il giocatore che trascinò l’Italia alla conquista del terzo titolo mondiale nel 1982 in Spagna, i figli Alessandro, Sofia Elena e Maria Vittoria. A dare la notizia del decesso del marito era stata lei, nel cuore della notte tra l’8 e il 9 dicembre scorso, scrivendo sulla chat di quei fantastici 'ragazzi dell’'82'.

«Fino a qualche giorno fa pensavamo di andare avanti insieme, anche per le nostre figlie - ha aggiunto la vedova - Paolo si dava molto alle persone, era un uomo semplice e generoso e ho ritenuto opportuno aprire il mio dolore che racconta anche la grandezza di Paolo, i suoi sentimenti, la sua voglia di essere uno tra i tanti. Ho ritenuto giusto non chiudermi, anche se a volte mi costa fatica perchè sento un dolore forte, è doloroso ricordare certe cose, fa male perchè sono ancora tanto fresche, ma è giusto così perchè Paolo era della gente, è giusto che lo ricordino per la sua grandezza, ma anche in questa fase di profonda sofferenza che ha avuto nell’ultimo periodo, amava il lavoro che faceva, apprezzava voi giornalisti, quindi è giusto così - dice ancora la moglie di Pablito. E' giusto dare a tutti come avrebbe fatto lui, io sono un po' quello che ha creato Paolo, perchè lui mi ha cambiato tanto, mi ha insegnato tanto, mi ha insegnato ad avere coraggio e ad affrontare anche i problemi con il sorriso".

Paolo è stato salutato dai "ragazzi del Mundial '82" tra commozione, lacrime, abbracci e applausi della gente rimasta ai margini della piazza del Duomo di Vicenza. Paolo Rossi, il mito diventato già leggenda dello sport italiano e del calcio mondiale, campione non solo col pallone ma anche di umanità, oggi ha ricevuto l’ultimo commovente saluto dai suoi amici, dai tanti suoi compagni di squadra, dalla sua gente.

Il feretro di "Pablito" è entrato nel Duomo - accesso limitato a 250 persone a seguito delle misure anti-Covid - attorno alle ore 10,20 tra gli applausi e accompagnato dal coro della gente: «Paolo, Paolo...». Tra i banchi c'era il calcio italiano di ieri e di oggi, c'erano tutti i grandi campioni di quella squadra che il ct Enzo Bearzot (scomparso il 21 dicembre di dieci anni fa) riuscì a portare sul tetto del mondo. Davanti, a portare la bara, Marco Tardelli e Antonio Cabrini. All’interno della chiesa c'erano tutti, Giancarlo Antognoni, Fulvio Collovati, Alessandro Altobelli, Franco Causio, Bruno Conti, Lele Oriali, Beppe Dossena, Daniele Massaro, Claudio Gentile, Ivano Bordon, Giuseppe Bergomi, Franco Baresi e Giovanni Galli. Tra i tanti anche Roberto Baggio, particolarmente commosso, Paolo Maldini, Giuseppe Galderisi, Stefano Tacconi e Roberto Bettega. Il presidente della Figc, Gabriele Gravina, sul feretro ha depositato la maglia azzurra di 'Pablitò. Ai piedi dell’altare due stendardi, quello del Vicenza e della Juventus.

Cabrini nel suo saluto all’interno del Duomo ha detto: «Non ho perso solo un compagno di squadra, ma un amico e un fratello, siamo stati parte di un gruppo, quel gruppo, il nostro gruppo e non pensavo ti saresti allontanato così presto ma che avremmo camminato ancora tanto insieme». Lo storico numero 4 di quella Nazionale ha aggiunto: «Voglio ringraziarti, sei stato meraviglioso, già mi mancano le tue parole di conforto, le tue battute e i tuoi stupidi scherzi», concludendo: «Non ti lascerò, ti prometto di stare vicino a Federica e ai tuoi figli, ciao Paolo!».

Nell’omelia monsignor Pierangelo Ruaro, delegato del vescovo Beniamino, ha detto che «Paolo ha vissuto la malattia con il garbo e la discrezione di sempre e la sua grandezza è stata quella di essere un fuoriclasse e mai un personaggio, ci ha sorpreso come sorprendeva i difensori che lo vedevano arrivare da dietro: ora ti allenerai nella Coverciano del cielo». Don Pierangelo Ruaro ha poi raccontato Paolo come cristiano, ricordando: «E' stato chierichetto, ha iniziato a giocare nella squadra messa su dal prete della parrocchia e la sua fede era fatta di quotidianità, di gentilezza, rispetto, semplicità ed umiltà».

 

 

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