Un tipo di commedia prettamente americano "in cui ho innestato molto cuore. Racconto temi come l'amore, la difficoltà di crescere di un uomo smarrito, nel rapporto con suo figlio e la sua ex moglie, all'interno di un triangolo ambientato nella provincia più estrema americana, quella più annoiata, più gossipara, più provinciale". Cosi Gabriele Muccino, in collegamento via skype da Los Angeles, descrive al Taormina Film festival, il suo terzo film negli Usa, Playing the field, con Gerald Butler, Jessica Biel, Uma Thurman e Catherine Zeta Jones, in uscita negli Usa e in Italia tra dicembre e gennaio.
La conversazione è anche l'occasione per parlare dell'Italia oggi ("é come un toro ferito") e del suo rapporto con Hollywood. "Questo copione mi è arrivato dopo che un altro film scritto da me era andato in stallo e dopo il mio no agli ultimi due film di Twilight" dice. La decisione di rifiutare la saga non è stata facile: "Mi piaceva il fatto che come lavoro mi avrebbe occupato per molto tempo, e io mi nevrotizzo a stare senza lavoro. Però mentre il penultimo episodio mi avvinceva perché era semplice, l'ultimo, aveva delle cose che non riuscivo ad abbracciare e fare un film di cui non si è convinti é molto pericoloso. Non ero adatto". In Playing the field, protagonista è George, ex calciatore di successo, che ha rovinato il suo matrimonio e non si è curato troppo del rapporto con il figlio.
Tutti errori a cui ha intenzione di rimediare, ma non sarà facile.... Muccino pur non volendo lasciare Hollywood ("Girerò qui anche il mio quarto film, spero di trovare un copione che mi piaccia, sennò realizzerò una mia storia in inglese") sottolinea le difficoltà: "E' un posto molto faticoso, regna l'insicurezza. Quando chi governa una nave ha paura di sbagliare rotta, c'é il rischio di fare sempre gli stessi film e usare le stesse formule per poi venire spiazzati da film indipendenti come The black swan o Il discorso del re. Oggi gli studios sono barche ubriache che cambiano rotta a seconda di quello che funziona.
Bisogna imparare a barcamenarsi in questa navigazione tempestosa". Negli Usa "si devono fare film che piacciano a tutti, senza spigoli, che per loro a volte sono quelli che noi consideriamo rotondità" aggiunge. Inizialmente "i produttori per Playing the field mi avevano solo ingaggiato come regista e volevano che la sceneggiatura rimanesse quella. Ma dopo i primi test screening, in cui il pubblico chiedeva le stesse cose che avrei voluto aggiungere io, ho potuto riscrivere parecchie scene ed il film è diventato come volevo, ora lo sento mio". Dalla vita negli Usa, Muccino trova che l'Italia, dove torna ogni due-tre mesi, "abbia vissuto momenti ben più foschi e cupi.
Certo è in crisi, in un momento di stallo, di transizione. Era molto più difficile qualche anno fa quando all'estero, certe di cose di Berlusconi non sono certo passate inosservate. E' un Paese molto stanco, come un toro ferito da molte banderillas, che forse se non arriva il torero trova il modo di rimettersi in piedi". Riguardo il rapporto non sempre facile con l'ambiente del cinema italiano, il cineasta spiega: "Chiunque si esponga al pubblico giudizio ne deve affrontare le conseguenze, come essere invidiati, affondati o ammirati. Soffro a non avere mai avuto un invito come giurato ai festival di Venezia, quando ho visto chiunque apparire su quelle poltrone, anche chi ha fatto molto meno di me. Mentre soffro meno per le critiche ai miei film".
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