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Il Made in Italy
non conosce crisi

Il Made in Italy della moda e delle calzature di fattura artigianale non conosce crisi in Giappone, a dispetto del sisma/tsunami dell’11 marzo 2011 che ha provato il Paese, seguito poi dall’emergenza nucleare ed energetica.

Lo scorso anno, infatti, le esportazioni italiane hanno avuto nei settori un autentico boom con un «progresso di oltre il 20% che prosegue nel 2012, aiutato di sicuro anche dall’effetto superyen», ha spiegato Federico Balmas, direttore Ice di Tokyo, nel corso della presentazione di "Moda Italia" e 'Shoes from Italy', due appuntamenti tradizionali nella capitale nipponica (10-12 luglio al Westin Hotel) per promuovere il meglio della manifattura artigianale delle collezioni primavera/estate 2013, da quelle donna/uomo all’abbigliamento in pelle, fino alle calzature e agli accessori.

La conferma dei trend positivi sono rimarcati dalla presenza eccezionale registrata dai due eventi: 147 aziende partecipanti (tra cui Nazareno Gabrielli, Lattanzi, Chiarugi, Fabiano Ricci e Parmeggiani), l’adesione di 3.000 operatori nipponici e di delegazioni da Corea del Sud, Taiwan e Vietnam. Ci sono le basi, in altri termini, per far maturare numeri finali da record.

«Il Giappone resta il mercato sul quale si testano prodotti, una sorta di benchmark per il resto del mondo, secondo qualità e innovazione», ha rilevato l’ambasciatore a Tokyo, Vincenzo Petrone, nominato da pochi giorni alla presidenza della Simest.
«Con 80.000 imprese per un totale di 700.000 addetti, il manifatturiero artigianale è ben riconosciuto nel mondo per la capacità di saper fare», ha ricordato Antonio Franceschini di Cna Federmoda. Mentre, quanto al settore calzaturiero, Pier Paolo Chicco dell’Anci (l'Associazione di categoria) ha parlato di un comparto leader in Europa, con un surplus 2011 di 3,4 miliardi di euro su un fatturato che vale 7,45 miliardi.

L'analisi dei dati più recenti del mercato giapponese mostra che – tra i fornitori – l'Italia occupa posizioni di vertice, come la seconda posizione nei 'lavori di cuoio o pellè (80 miliardi di yen nel 2011, quasi 800 milioni di euro) e tra i primi 5 per 'abbigliamento e accessori in tessutò (43 miliardi di yen, cioè 430 milioni di euro). La quota italiana sulle importazioni totali nipponiche dell’abbigliamento è stata lo scorso anno del 2,5%, pari al terzo posto dopo Cina (80,9%) e Vietnam (5,7%), che coprono la fascia a basso valore aggiunto. Nell’abbigliamento in pelle, l’Italia è seconda (23,4%) dopo la Cina (47,2%), così come nel caso della pelletteria (17,5%). La leadership italiana, invece, è nelle calzature in pelle (25,4%), sia per donna (35%) sia per uomo (22,5%).

«Anche se l’euro debole ci rende competitivi, bisogna ricordare che il nostro Paese trasforma le materie prime che importa altrove», ha concluso Giuseppe Mazzarella, presidente di Confartigianato Moda e neo componente del cda dell’Ice. «La nostra arma resta la qualità perchè il Made in Italy continui a essere inteso come sinonimo di eccellenza».

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