Lunedì 06 Maggio 2024

Cari Masterchef
siamo cannibali

di Anna Mallamo

Se n'è andata Daiana, la massaia toscana con una famiglia così allargata che per forza deve saper cucinare: perché la cucina è (anche) sapersi prendere cura degli altri. E sempre più a rischio sembra il nostro Ivan, il commesso ragusano che, qualunque cosa cucini, imbandisce la sua Sicilia, coloratissima, profumata, povera ma piena di speranze e risorse. In pratica, stanno finendo i motivi veri (quelli umani) per continuare a guardare “Masterchef” edizione due, che pure sta segnando record sempre più alti di ascolti (l’ultima puntata è stata vista da oltre 949mila spettatori medi ed è stata anche twittata tutta la sera).

Purtroppo, da utenti entusiasti della prima ora, non possiamo che osservare con dolore la metamorfosi di uno dei programmi più belli e ben fatti della tv (ma questo accade  con tutte le produzioni Sky: pensiamo alla scorsa stagione di “X Factor”) in un reality sadico pressoché indistinguibile dalla parodia che ne fa Crozza con “BastardChef” (ma ormai è chiaro che due minuti di Crozza valgono più di qualsiasi editoriale, su qualunque cosa).

Invece della gioia della cucina, del piacere del cibo, dell'amore per le materie prime e della soddisfazione per una sana competizione – che nella scorsa edizione erano percepibili dietro tutte le prove, non di rado istruttive persino per noi pubblico a casa – vediamo imbanditi, a ogni puntata, veleni, stress, invenzioni cervellotiche, strategie perverse di eliminazione, sempre più fisica, degli avversari. Cestini scambiati, furti autorizzati,  trucchi e sgambetti, missioni impossibili («trasformate un panforte – un panforte! - in un altro dolce ma che resti panforte, mi raccomando»; «cucinate sotto la grandine a quota tremila, e forse arriverà pure lo Yeti a giudicarvi»; «eseguite ricette medioevali con strumenti medioevali e fuoco di legna»; «scegliete tra cervella, rognone e frattaglie: chi non le cucina almeno tre volte alla settimana?»: è più facile trovare quattro milioni di posti di lavoro, o i soldi per restituire l'Imu agli italiani creduloni) e infine, spesso e volentieri, i giudizi contundenti dei tre giudici (e più conditi e saporiti sono gli insulti più crescono gli ascolti). Ieri, infine, la scena madre, degna della peggior tv del dolore: far uscire il povero Ivan in lacrime col cuore spezzato e richiamarlo all'ultimo minuto.

È chiaro, a questo punto, che le pietanze sono i concorrenti. E siamo noi a mangiarceli vivi, in nome dell'audience. Crudi.
E la carne umana cruda – cari superCracco, stellatoBarbieri e magicBastianich – non è roba da alta cucina, ma da bassa macelleria.

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