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Le disgrazie di Cipro
e le colpe dell’Europa


di Piero Orteca

«Il contagio finanziario, nel Vecchio Continente, si muove a razzo, come la peste bubbonica che alla metà del XIV secolo sterminò quasi metà della popolazione europea. E non guarda in faccia nessuno, grandi o piccoli che siano… Ora è la volta dell’isola di Cipro, che si affaccia per la prima volta sull’uscio dell’ufficio pegni, mostrando un bilancio bucato come una padella per friggere le castagne». Parole e musica sono della nostra Gazzetta. Giugno 2012. Ma, con qualche piccola differenza, potrebbero anche essere state scritte ieri sera, perché l’isola mediterranea, mostra un elettroencefalogramma finanziario più piatto di una linea tracciata con la squadretta. Veggenti noi? Per carità, non scherziamo. I numeri parlavano da soli già un anno fa. A Cipro, lo Stato, aizzato dall’Unione Europa, ha dato l’assalto ai conti correnti dei risparmiatori, anche se a Bruxelles, per cantarla chiara, «sapevano» da una vita che gli isolani erano in mezzo a una strada. Ma hanno nascosto il sole con la rete, per cercare terapie sottotraccia, che facessero recuperare soldini e soldoni alle banche locali, a quelle continentali (ma guarda tu!) e, per la proprietà transitiva, a tutta la congrega di biscazzieri e grassatori che sulla «teoria economica» della Catena di Sant’Antonio hanno costruito i loro malloppi. È la solita sporca storia. Si fanno pagare, senza battere ciglio, gli incolpevoli risparmiatori col «prelievo forzoso» (in pratica una rapina a mano armata) e i cittadini più deboli (con tasse sproporzionate, in questo caso «furto con destrezza»), per sanare le colpe di sistemi bancari che sembrano tanti scolapasta e di amministrazioni statali che gestiscono le finanze come la befana di un circolo ricreativo. È capitato, sia pure in modo «soft», anche a qualche altro malcapitato, una ventina d’anni fa. Si dirà: in fondo a Cipro colpiscono «solo» i depositi sopra i 100 mila euro (ma con un fantascientifico 37,5%). Giusto. Ma il problema non è il merito, quanto piuttosto il metodo. Una tale operazione di brigantaggio politico rompe il rapporto fiduciario tra il Paese «legale» (si fa per dire) e quello «reale». Passato il principio che lo Stato ti può mettere le mani in tasca quando vuole e di mala maniera, il «quantum» diventa un optional: domani, magari, il limite del prelievo potrebbe essere molto più basso. Non solo: e perché non farlo ogni fine mese? E chi ci garantisce che una «squadra speciale » del fisco, con la benedizione urbi et orbi dell’Unione, non s’inventi qualche altra estemporanea misura per far quadrare i (loro) conti. Insomma, spesso la pezza è peggio del buco. E ispirando, autorizzando e monitorando il «blitz» nelle tasche dei ciprioti, Bruxelles ha creato un pericoloso precedente e un modello di «salvataggio» (delle banche) che rischia, nel lungo periodo, di fare più danni dell’uragano Katrina. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, l’ha capito e ha messo le mani avanti, dichiarando «che mai l’Italia si troverà nelle condizioni di Cipro». Grazie per la considerazione e, soprattutto, per il nome «fatto a caso». Ma il problema, se non ci vogliamo fermare alla superficie delle cose, è che la crisi, che è stata ed è ancora e per molti versi, soprattutto, una crisi di banche, bancone e bancarelle, istituti finanziari assortiti e dell’economia «di carta», si è trasferita, ormai in pianta stabile, sul terreno dell’economia reale. Diffondendosi come la rogna. Ergo: non si può sbrogliare la matassa rispondendo, a casaccio, solo sul piano della finanza. Altrimenti ci ritroveremo, prima di quanto possiamo immaginare, con banche che hanno salvato la pelle o, addirittura, satolle, e il resto della società, a partire da giovani, pensionati e disoccupati, alla fame. In definitiva, più di qualcosa, nell’Unione, non quadra. Le terapie adottate sono state quelle di quando Berta filava e se sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Sembra che ai piani alti di Bruxelles ci sia una percezione deformata della crisi, che partorisce risposte e terapie altrettanto «asimmetriche». Nella copertina che l’Economist ha dedicato a Cipro, si vede l’isola affondare in un mare pieno di pescecani (indovinate chi sono…), accompagnata da un titolo che è tutto un programma: «Giusto quando si pensava che fosse salva». Right. Ma chi lo pensava? La Banca Centrale Europea? La Commissione? Il Fondo Monetario? Insomma, la constatazione più ovvia, anche per l’uomo della strada, è che nessuno di questi paludati organismi ci ha capito un fico secco. Detto fra noi, manco gli «scienziati» con la barba lunga fino ai piedi che assistono Frau Merkel hanno letto per bene la boccia di cristallo. I Nostradamus (mancati) in salsa teutonica, vista la mala parata, hanno trovato una soluzione che forse non gli frutterà il Nobel, ma che di sicuro salverà i loro salvadanai e che, soprattutto, permetterà di tenere l’euro incollato con lo scotch, almeno fino a quando la Canciellierona non vincerà a mani basse le prossime elezioni di Grosse Deutschland. Certo, a Nicosia, capitale di Cipro, di questi tempi l’Europa, più che un’Unione, viene vista come un Protettorato tedesco, che ha autorizzato una truffa in carta da bollo. Cipro, dicono a Berlino, per stare bene e vendere salute, dovrà ingurgitare tutte in una volta le pillole per la pressione che non ha preso negli ultimi trent’anni. Il risultato è garantito: un bel collasso di quelli fulminanti e ci siamo tolti il pensiero. In questo caso, le onoranze funebri (costi finanziari collaterali), inutile dirlo, saranno anche a carico dei contribuenti europei, ormai invitati fissi alle esequie dei vari Paesi falliti.

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