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Anche la Francia di
Hollande in caduta libera



di Piero Orteca

Miracolo!  Ad appena 10 mesi da quando ha messo piede all’Eliseo, François Hollande è riuscito persino a resuscitare Capitan Fracassa-Sarkozy, che ne aveva combinate di cotte e di crude. Secondo un recente sondaggio, citato dalla Bbc, il nuovo presidente socialista della Francia ha l’approvazione di un misero 27% di cittadini. Ergo: in meno di un anno e grazie alle sue mirabili alzate d’ingegno, ha perso la metà dei consensi che aveva in saccoccia. Hollande non si è dovuto sforzare poi molto per battere un tale record mondiale di impopolarità. A cominciare dall’aumento della pressione fiscale, spalmata, principalmente, sulla classe media, ma che prevede anche una supertassa (alquanto cervellotica, sia detto senza offesa) che dovrebbe arrivare a un fantascientifico 75% per i redditi più alti. Anche se ancora non si è capito se e come nel salasso (che sta provocando un vero esodo) potrebbero essere coinvolti i redditi d’impresa. In quel caso “adieu la France”. Comunque, quando, durante la campagna elettorale, Hollande s’inventò il “colpo di genio” per raccattare qualche voto a sinistra, i suoi stessi consiglieri ne furono stupiti. Emmanuel Macron, ora punto fermo del team di adviser dell’Eliseo, scherzandoci sopra (ma mica tanto), arrivò a sostenere che Hollande voleva trasformare la Francia “in una Cuba senza sole”. Anche perché la mossa, da subito, è sembrata a tutti sfacciatamente propagandistica. Tra l’altro, essendo il numero degli ultra-miliardari relativamente minimo, l’impatto sul gettito complessivo non sarebbe granché. Ma la bocciatura più autorevole dell’infelice pensata del presidente è arrivata dalla Corte Costituzionale e, successivamente, dalla Cassazione, che ha fissato al 66% il tetto del possibile esborso. Dunque, Monsieur le Président, da fedelissimo “apparatchik” di partito, tutto scrivania, ideologia giurassica e slogan che andavano di moda una quarantina d’anni fa (come succede da altre parti nel Vecchio, anzi Decrepito, Continente), ha finito per affossare l’economia francese. Che se prima trotterellava a zig-zag, oggi, invece, arranca come un cammello sciancato. A dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che fare opposizione significa, spesso, cavalcare (gratis) l’onda della rabbia sociale. Mentre, conquistare il bastone del comando, in periodo di vacche magre, può portare a una rapidissima fine della “luna di miele” elettorale. Anzi, proprio quando le promesse evaporano, i piatti cominciano a volare ad altezza d’uomo e gli avvocati divorzisti si affollano sull’uscio del Palazzo. Morale della favola: dire sempre no e conquistare il consenso è relativamente facile, specie quando tutto attorno crollano calcinacci e balconate. Poi, però, arriva il momento di ricostruire. E qui casca l’asino. Perché se mancano gli operai specializzati, se il cemento è sparito e se il progetto è fatto non da architetti e ingegneri, ma da una banda di maniscalchi (con tutto il rispetto per tale nobile categoria), allora c’è il rischio che quei quattro mattoni che sei riuscito a raccogliere te li tirino sulla capa. Hollande, brava persona ma pessimo economista, pensava di conquistare il potere e di risolvere, con la beata incoscienza dei neofiti e con un colpo di bacchetta magica, come Mago Zurlì, i problemi della Francia. Ma in questo mondo di marpioni, scafati avventurieri della finanza e imbroglioni in doppio petto, non c’è posto per i leader prefabbricati a tavolino e che possono vantare, al massimo, l’esperienza di un onesto impiegato statale. Come Hollande. Insomma, la Francia è caduta dalla padella nella brace. E se prima, ai tempi di Capitan Fracassa e di Carlà, aveva ancora un minimo di credibilità (solo in campo finanziario, per essere chiari) oggi, col nuovo verbo in salsa massimalista, è praticamente in mezzo a una strada. Tanto che “the Bible” (l’Economist) ha snocciolato una serie di copertine che dipingono i cugini transalpini come i “veri grandi malati d’Europa”. Operazione che ha suscitato le ire di “Le Figaro”, letteralmente inferocito per i “pregiudizi anti-francesi” da parte della perfida Albione. Ma siccome, quando si discute di pane e companatico, le chiacchiere stanno a zero, andiamo ai fatti, per cercare di capire quanto le pesanti ironie degli inglesi siano giustificate dai numeri. Nell’ultimo quarto del 2012 il Prodotto interno lordo è crollato (-1,2%) e le previsioni per l’anno in corso indicano che i francesi, nel migliore dei casi, potranno solo rallentare la recessione (-0,2%). La produzione industriale, poi, che è il vero elettrocardiogramma della salute economica di un Paese (mentre lo “spread”, spesso, è solo il termometro della speculazione e delle truffe internazionali) ha segnato un catastrofico -3,5% (come Italia e Spagna, tanto per capirci). A completare poi l’opera, la disoccupazione ha toccato quasi l’11% e la bilancia dei conti correnti segna un rosso di 65 miliardi di euro (Italia -9,5%). Inoltre, il deficit su Pil previsto per il 2013, nel migliore dei casi, ma ne dubitiamo, sarà di -3,5%, cioè sforerà il Patto di stabilità, a dimostrazione che in Europa ci sono figli e figliastri. Perché l’Italietta, bacchettata da tutti i Premi Nobel che bivaccano, a pensione completa, nello stipendificio di Bruxelles, centrerà invece i suoi obiettivi (tra -2,5 e -2,9%), a costo, è ovvio, di rompersi l’osso del collo, come dimostrano tutti i perversi effetti collaterali che tocchiamo quotidianamente con le nostre mani. Ma c’è un problema: Hollande ha annunciato che, rispetto al compito in classe che la Germania gli ha dato (lasciamo perdere la Bce e l’Unione, così non nascondiamo il sole con la rete) probabilmente consegnerà foglio in bianco. Cioè sforerà di più, fregandosene del “2” in pagella. Alla faccia delle regole imposte dall’Europa, degli impegni solennemente sottoscritti e dei sacri principi finanziari, che evidentemente valgono solo per i derelitti come Cipro. Fatta la legge e trovato l’inganno, insomma. Certo, ormai è chiaro che la Francia contratta sottobanco per ottenere “comprensione”. Noi, invece, abbiamo fracassato a colpi di mazza la struttura produttiva del Paese, per dimostrare l’italico “rigore” dei professori tecnocrati e per non farci spernacchiare dai tedeschi e dagli altri padroni del vapore. Un caicco che ci ha visti passare da soci costruttori a mozzi. E mentre noi peliamo patate per le banche europee, Monsieur Hollande annuncia, urbi et orbi, che non può ridursi all’elemosina per fare il fervente sostenitore dell’Unione. Di cui, evidentemente, non gli importa un baffo. O, forse, un po’ gli interessa, ma non fino al punto di suicidarsi, come invece sta facendo l’Italia. Paese che, quando questo periodaccio sarà finito, avrà una “medaglia al valore europeo”, da appuntare sul petto dei parenti, distrutti dal dolore e dalla crisi. O, peggio, visti i chiari di luna in politica, magari otterrà un monumento funebre. Al milite ignoto.

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