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Egitto, dalla Primavera
araba alla guerra civile

di Piero Orteca

L’epitaffio sui movimenti di piazza che, in quasi tre anni, hanno messo sottosopra la Mezzaluna, dalle coste atlantiche del Nord Africa fino al Golfo Persico, potrebbe essere stato scritto in questi ultimi giorni in Egitto: dalla “Primavera araba” alla guerra civile. Corto, netto e senza possibilità di smentita, perché la verità è sotto gli occhi di tutti. E ancora, siatene certi, non abbiamo visto niente. Tra i commenti più preoccupati, quelli del nostro premier Letta e del ministro degli Esteri Emma Bonino, i quali hanno ribadito che siamo vicini “al punto del non ritorno”. Dunque, venerdì notte, dopo gli scontri tra i “Tamarod” ribelli, gli islamici “duri e puri” che sostengono il defenestrato presidente Morsi e unità dell’Esercito, i morti sono stati 37 e i feriti oltre mille. Nel Sinai, a El Arish, davanti alla sua chiesa, è stato anche assassinato, probabilmente da un commando di integralisti sunniti, un sacerdote cristiano copto. Sarebbero, invece, otto gli agenti di polizia finora uccisi, e 82 quelli feriti nei disordini. Sei di questi hanno perso la vita proprio nel Sinai, che si va configurando come una roccaforte degli integralisti. Per questo motivo le forze armate egiziane hanno chiuso i varchi di confine con la Striscia di Gaza (paura delle reazioni di Hamas?) e con Israele. Anche le truppe di Gerusalemme lungo la frontiera col Sinai sono state messe in stato d’allerta “rosso”. Nel frattempo, quasi partorito dai sanguinosi scontri di piazza e dal colpo di Stato militare, un nuovo gruppo islamico ha annunciato la sua formazione. Ansar al-Shariah in Egitto (questo il suo nome) ha promesso di raccogliere armi per cominciare ad addestrare i suoi membri in vista della lotta finale. Ansar definisce la deposizione del presidente Morsi da parte dell'esercito “una dichiarazione di guerra alla religione” e minaccia di usare la violenza per imporre la legge islamica. Intanto, il presidente ad interim Adly Mansour ha incontrato tre esponenti dei “Tamarod”. Al meeting hanno partecipato il portavoce Mahmoud Badr, Mohamed Abdel Aziz e Hassan Shahin. Questi ultimi due sono i fondatori del movimento che ha dato vita alla rivolta. L’altra segnalazione arrivata è che El Baradei sarà il prossimo primo ministro. A questo punto sembra chiara la piega presa dagli avvenimenti. Solo i gonzi che affollano le Cancellerie occidentali potevano pensare che i Fratelli Musulmani avrebbero ingoiato il pillolone, confezionato a più mani, contro di loro, dagli “apostoli della democrazia”, americani in testa. Secondo fonti israeliane, Barack Obama e il Capo di Stato maggiore Usa, generale Martin Dempsey, martedì scorso, sarebbero intervenuti, in un ultimo disperato (e goffo) tentativo per cercare di togliere dai guai il loro amico Morsi. Ma, vista la mala parata e, dopo lunga riflessione (si fa per dire), hanno deciso di gettarlo ai pescecani. Benedicendo il colpo di Stato e pensando, forse, di uscirsela come nella barzelletta dell’assassino “che non aveva visto niente” e che “si trovava a passare”. Mentre, invece, era appostato dietro l’angolo da una settimana. Certo, alla Casa Bianca sono seduti sulle puntine da disegno. A Obama la festa del 4 luglio è andata di traverso. Ha dovuto convocare riunioni d’urgenza per discutere la situazione col Ministro della Difesa Hagen e con la National security adviser Susan Rice. Che a loro volta si sono confrontati col nuovo “uomo forte” dell’Egitto, il generale El Sisi, e col responsabile israeliano della Difesa, Moshe Ya’alon. I Fratelli Musulmani, sunniti di quelli tosti (e non certo “moderati”), alle elezioni presidenziali (vinte straregolarmente) hanno preso oltre 13 milioni di voti, per cui, aspettarsi che se ne stessero buoni in un cantone era proprio da dilettanti allo sbaraglio. Detto fatto. Se non siamo alle soglie della guerra civile, poco ci manca. Non solo gli islamisti stanno mettendo l’Egitto a ferro e fuoco, ma tutto il fronte dei tagliagole fondamentalisti internazionali è in movimento e minaccia di fare esplodere l’intera regione. E anche di più. Pensate solo a cosa potrebbe significare bloccare (bastano poche mine magnetiche) il Canale di Suez: navi ferme e prezzo della benzina (e di altre materie prime) alle stelle. Alla faccia di tutti i molto nobili, quasi aulici, sentimenti sulla “condivisione della democrazia” agitati sotto il naso dei fessi da una banda di (ex) marpioni di base a Washington, Londra e Parigi. Il pericolo più grosso? La “sindrome algerina”. All’inizio degli Anni Novanta, i fondamentalisti islamici del FIS (Fronte Islamico di Salvezza) vinsero le elezioni in quel Paese, senza barare. Ma siccome la “democrazia” è come la pasta per la pizza, cioè chi la stira ne fa ciò che vuole (fino a quando non si vedono i buchi), gli sgraditi vincitori furono subito messi fuori legge da un colpo di stato militare, ispirato dagli Stati Uniti. Risultato: guerra civile e 250 mila morti, tanto per gradire. Ma torniamo alle scosse sismiche che scuotono l’Egitto. Gli scontri più gravi si sono verificati al Cairo (ma anche ad Alessandria), dove, l’Esercito ha addirittura usato gli elicotteri d’assalto “Apache” (forniti dallo Zio Sam) per scaraventare sulle teste dei manifestanti pro-Morsi di tutto e di più: dai semplici lacrimogeni fino alle raffiche di mitragliatrice. Pare che i Fratelli Musulmani si stessero dirigendo, in massa, verso la caserma della Guardia Repubblicana dov’è rinchiuso il presidente deposto. I proiettili, “democraticamente sparati” hanno fatto 10 morti e 240 feriti, mentre il leader dei manifestanti (come definirli? Forse “controrivoltosi”), Mohammed Badie, poi arrestato, li incitava a liberare Morsi e a trascinarlo via “anche sulle spalle”. “Il partito resterà al fianco dei suoi membri e dei suoi simpatizzanti sulle piazze egiziane – recita un comunicato della Fratellanza – fino a quando il presidente non sarà riabilitato nelle sue funzioni”. Ieri la tensione è rimasta altissima. L'esercito controlla, al Cairo, le strade che conducono alla moschea di Rabaa el Adaweya, al Ministero della Difesa e alla sede della Guardia Repubblicana. I militari hanno anche arrestato il numero due dei Fratelli Musulmani, Khairat El-Shater. L'accusa è di incitamento alla violenza. El-Shater si era candidato lo scorso anno, prima di essere estromesso dalla Commissione elettorale “per suoi precedenti penali”. Insomma, visti i fatti, è il caso di sottolineare come la storia spesso si vendichi del caravanserraglio affollato di politicanti, diplomatici, mercanti nel tempio, inguaribili sognatori e idioti in servizio permanente effettivo (la razza più pericolosa), che pensano di poter spiegare agli altri quello che non capiscono loro. La miscela esplosiva di arroganza, supponenza e ignoranza ha colpito ancora, e le pere rischia di pagarle chi non ha colpe. Il mito della “esportazione della democrazia”, nato in America al tempo di Clinton per coprire il sole con la rete, cioè per mascherare i sordidi interessi di bottega dei potenti della Terra, si sta sgretolando giorno dopo giorno, sotto i colpi della cruda realtà o, meglio, complessità, delle relazioni internazionali. Gli scannamenti a cui stiamo assistendo nel Paese dei faraoni forse sono solo un “antipasto”, a cui potrebbero seguire eventi molto più convulsi, in grado di rendere ingestibile tutti gli equilibri nell’intero Nord Africa e nel Medio Oriente, fino alla Penisola Arabica.

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