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Sinai, uccisi
25 poliziotti

Venticinque poliziotti sono rimasti uccisi nel Nord del Sinai. Lo riferiscono fonti dell'Esercito. Gli agenti sono stati fatti scendere dai due blindati che li trasportavano, fatti mettere in riga e poi giustiziati a sangue freddo. Due i feriti in gravissime condizioni. L'attacco, in stile jihadista, è avvenuto vicino ad Abu Taqila. I poliziotti provenivano dal varco di Rafah, al confine con Gaza. Gli assalitori hanno inoltre distrutto i bus sparando razzi con rpg.

E l'Alleanza delle formazioni pro-Morsi, dominata dai Fratelli musulmani, ha indetto per oggi nuove manifestazioni al Cairo, nei quartieri di Heliopolis - sede del palazzo presidenziale -, di Giza, di Maadi, di Imbaba. Cortei anche a Helwan e Zeitun. Ieri il generale Abdel el Sissi, l'uomo forte dell'Egitto, aveva rivolto un messaggio a metà fra il monito e l'apertura ai Fratelli musulmani. Oggi la coalizione anti-Morsi ha reagito chiedendo l'apertura di una inchiesta internazionale sui "crimini orribili commessi dal ministro dell'Interno, il generale Mohamed Ibrahim, e da quello della Difesa", che e' lo stesso al-Sissi. Lo rende noto l'Alleanza delle formazioni pro-Morsi sulla sua pagina Facebook.

Intanto, veloce come un virus informatico, si sta diffondendo tra i sostenitori del presidente egiziano deposto Mohamed Morsi il numero 4, segnato dalle dita dei manifestanti che hanno iniziato a marciare con le braccia alzate. Il 4 sta a significare 'siamo tutti di Rabaa', la piazza teatro del tragico sgombero di mercoledì scorso con centinaia di morti e migliaia di feriti. Il collegamento tra il numero 4 e Rabaa non ha nulla di mistico né di filosofico: la ragione è che in arabo quattro si pronuncia 'arba-ah', e invertendo le lettere si arriva alla parola Rabaa. Ieri il generale Abdel el Sissi, l'uomo forte dell'Egitto, aveva rivolto un messaggio a metà fra il monito e l'apertura ai Fratelli musulmani.

La tregua armata e carica di tensione che ha segnato la giornata di ieri, dopo le stragi dei giorni scorsi, e' stata rotta nel pomeriggio quando almeno 38 Fratelli musulmani sono stati uccisi nel blindato che li trasferiva da un carcere ad un altro nella zona del delta del Nilo, dopo che un commando di loro confratelli aveva assaltato il convoglio per cercare di liberarli. Il blitz delle forze di sicurezza, ancora oscuro nella dinamica (si parla di una violenta sparatoria, ma anche di detenuti asfissiati dai gas nell'automezzo), è andato in scena poco dopo il monito lanciato dal nuovo uomo forte del Cairo, il generale Abdel Fatah al-Sissi: ''Non ci piegheremo agli islamisti''. Sissi si e' spinto a evocare apertamente il rischio del baratro per il Paese, e un conflitto di natura ''religiosa'' che ne sancirebbe la rovina. ''C'e' posto per tutti'', ha poi strizzato l'occhio ai Fratelli musulmani, ma invitandoli a ''rivedere'' le loro posizioni, ovvero ad accantonare la richiesta d'un ritorno al potere di Mohamed Morsi e la persecuzione giudiziaria degli ''assassini''. Il generale ha parlato nel giorno in cui è stata ufficializzato l'addio non solo al governo ma all'Egitto di Mohamed El Baradei: l'ormai ex vicepresidente e premio Nobel per la pace che ha fatto le valigie alla volta di Vienna dopo essersi dissociato dalla linea dura del governo istituito dai militari, nel pieno di una crisi che da mercoledì conta quasi mille morti in tutto il Paese. Anche oggi i sostenitori del deposto presidente Morsi hanno mantenuto la promessa di tornare in piazza, pur annullando alcuni cortei per motivi di sicurezza e decidendo di lambire solamente i centri strategici e del potere, presidiati massicciamente dai militari e ''miliziani'', i giovani civili armati di bastone che affiancano i soldati ai checkpoint, a dispetto del loro teorico scioglimento annunciato giusto oggi dal governo ad interim. Le forze di sicurezza che hanno sgomberato Rabaa e Nahda mercoledì, con uno dei bilanci più drammatici di vittime da Tiananmen ad oggi, restano intanto in campo in forze, a fronteggiare i pro-Morsi che oggi hanno marciato con le braccia alzate segnando il quattro con le mani: come per dire ''siamo tutti di Rabaa''. In migliaia hanno sfidato il coprifuoco al Cairo, a Giza Fayyoum, e in altri governatorati del Paese. Mentre in tarda serata è rimbalzata la notizia più sanguinosa della giornata: un assalto dei Fratelli musulmani a un convoglio di blindati che trasferiva decine di dimostranti da un carcere a un altro. Assalto finito in strage - sostengono fonti di polizia - dopo la presa in ostaggio di un agente. Ieri la giornata si era chiusa al contrario in un'atmosfera relativamente tranquilla, con le conclusione di numerose manifestazioni in tutto il Paese senza scontri gravi e lo sgombero ''senza vittime'' della moschea al Fatah degli 'irriducibili', al Cairo. Ma a sorpresa oggi è arrivato un bilancio del ministero della Salute, che ha stimato in oltre 70 i morti delle scorse 24 ore, senza precisare altro. Forse una buona parte di vittime va ricondotta in realtà proprio allo sgombero della moschea, preceduto da un'intensa sparatoria. E mentre da Bruxelles l'Europa paventa conseguenze "imprevedibili" e avverte di essere pronta a "rivedere le relazioni" con l'Egitto se non si fermerà il bagno di sangue, le ultime ore sono caratterizzate dall'offensiva del governo e dei militari contro la stampa occidentale, oltre che contro al Jazeera, accusata di offrire una copertura ''non professionale degli eventi'', favorevole ai Fratelli Musulmani patrocinati dal Qatar. Nelle strade basta che qualcuno gridi ''quelli sono di al Jazeera'' per scatenare le ire della folla anti-Morsi, e le intimidazioni si moltiplicano ovunque. Sull'altro fronte è invece al Arabiya, voce dell'Arabia Saudita e vicina al governo provvisorio del Cairo, ad aizzare le recriminazioni dei pro-Morsi. Una guerra di propaganda che va avanti da settimane accanto a quella vera. E che sta sfornando i suoi frutti avvelenati, anche a danno del diritto di cronaca e della sicurezza dei reporter. 

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