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Anche Obama prega:
che il Congresso
gli dica “no”


di Piero Orteca

Sulla Siria Papa Francesco fa sentire la sua voce autorevole e coraggiosa: no a tutte le guerre, preghiamo per la pace. Giusto, non solo dal punto di vista etico, ma soprattutto da quello dell’intelligenza. E Obama per cosa prega? Sì, perché a qualcuno è venuto il dubbio che, dietro tutte le dichiarazioni di facciata e dopo essersi stracciato le vesti, chiedendo il “via libera” del Congresso per punire Assad, sotto sotto il presidente speri in un voto contrario di deputati e senatori. Per uscirsene, come si dice dalle nostre parti, “col vento di terra” ed evitare di svegliare il cane che dorme. Anzi, con una metafora più efficace, per non sciogliere le catene a una muta di mastini inferociti, che non vedono l’ora di mangiarsi il padrone con tutta la cuccia. Insomma, Obama gioca a poker o sta preparando una commedia americana, da fare invidia a Jack Lemmon e Walter Matthau? Messo spalle al muro dall’imbecillità di Assad, che l’attacco chimico l’ha fatto per davvero, il presidente americano si trova davanti a un bivio: “punire” Damasco con i missili “cruise”e con i bombardieri “stealth”, col rischio di far saltare in aria, una volta per tutte, la polveriera mediorientale, o trovare un compromesso che, comunque, gli farà perdere la faccia? La Casa Bianca ha sempre sostenuto che l’uso di armi di distruzione di massa avrebbe costituito un “casus belli”. Nel caso specifico, il lancio dei “nervini” dovrebbe comportare automaticamente una rappresaglia americana. Più facile a dirsi che a farsi. Dentro l’Amministrazione democratica, come abbiamo già scritto, il vento è girato. Il presidente Usa ha le terga ancora abbondantemente ustionate dall’avventura libica e dalla “Primavera” egiziana e si è fatto cauto. Per usare un eufemismo. Dopo la rappresaglia d’ordinanza (se ci sarà), tra l’altro quasi concordata a tavolino con i “nemici”, vedrete che deporrà l’ascia di guerra per trovare una soluzione diplomatica alla crisi. Troppo forte il rischio di una “sindrome afghana”, quando gli Usa, per combattere i russi, armarono fino ai denti bin Laden. E poi Obama conosce benissimo ciò che hanno rivelato i servizi segreti di Sua Maestà britannica, portando in aula, a Westminster, un “report” dell’autorevole “ISC”(Parliamentary intelligence and security committee), dove c’è scritto che la minaccia più grossa per la sicurezza dell’Occidente non arriva da Assad, ma dai “ribelli”. Secondo il documento, membri di al Qaida e “singoli jihadisti”, sfruttando le opportunità offerte dalla guerra civile, potrebbero impossessarsi di armi di distruzione di massa per colpire le città occidentali. Di conseguenza e per la proprietà transitiva, il Parlamento britannico si è sfilato. L’Europa “struzzeggia”, cioè mette la testa sotto la sabbia, la Merkel “tiene famiglia”(ovverossia ha le elezioni “ante portam”), i russi si bagnano il pane, i cinesi aspettano il cadavere del “nemico” a stelle e strisce seduti sulla sponda del fiume, mentre l’Onu balbetta scuse. Il documento firmato da una dozzina di Paesi, tra cui l’Italia, al recente G-20 di San Pietroburgo, fa ridere. La “condanna” della Siria sembra un referto medico siglato al supermercato, mentre i clienti fanno la fila alla cassa. E, infatti, abbozzata la diagnosi, almomento della terapia si sono squagliati tutti, lasciando Obama col cerino in mano. Certo, qualche “eroe”assortito si trova sempre. Così i canadesi offrono solidarietà per ragioni di buon vicinato, i turchi hanno vecchi conti da saldare con Assad, i sauditi e gli emiri del Golfo sono terrorizzati dagli sciiti iraniani (patrons di Damasco), gli israeliani sognano di rendere definitiva, anche “legalmente”, l’occupazione del Golan, i sunniti libanesi intravedono la possibilità di ridimensionare l’ingombrante presenza di Hezbollah. E i francesi, pronti alla pugna mentre intonano la Marsigliese? Beh, sia detto senza offesa, per il presidente Hollande forse Sigmund Freud non basta. La cura per certe sindromi napoleoniche, con tanto di scolapasta in testa, va fatta in strutture attrezzate. Dunque, fatto il giro dell’isolato (in tutti i sensi), Obama si è reso conto di essere rovinosamente caduto in un roveto, e ora cerca di uscirne, già pesto e lacero-contuso, con meno danni possibili. Qualcuno dei suoi consiglieri (non certo la bellicosa Susan Rice) gli ha suggerito una bella pensata: scaricare tutto l’inghippo sulle spalle del Congresso, per la serie “vedetevela voi”. Il problema è che tutti i sondaggi indicano, impietosamente, un deficit di consensi per l’intervento. A tal punto che molti cominciano a sentire un forte puzzo di bruciato. Superbarack gioca d’azzardo, puntando sulle sue arti “persuasorie”, oppure, mefistofelicamente, in cuor suo, spera che deputati e senatori gli dicano “no”, per scaraventare l’attacco nella pattumiera della diplomazia e trovare una soluzione concordata, che lasci tutti gabbati e contenti? Bella domanda, anche se molti indizi fanno una prova. E siccome Obama ha sempre detto che i tacchini non festeggiano il Natale, ci sembrerebbe strano che, in questa occasione, fosse proprio lui a vestire i panni (o, meglio, nel caso specifico, le penne) della vittima predestinata. Facciamo quattro conti per chiarirci le idee. RealClearPolitics pubblica, con dovizia di particolari, i numeri che aspettano Obama al Congresso. Non si tratta di “polls” campati in aria, ma di medie ponderate, frutto delle analisi fatte dai più autorevoli istituti di sondaggio degli Stati Uniti. Alla Camera (la maggioranza necessaria è di 217 voti) i “no” quasi sicuri all’intervento sarebbero già 224, mentre gli indecisi arriverebbero a 174, con altissime probabilità che almeno il 50% di questi si unisca a quelli che non vogliono sentir parlare né di missili e manco di bombe. Insomma, al momento, il voto per Obama sarebbe un vero massacro. Un po’ diversa la situazione al Senato, dove si decide prima (mercoledì). Qui, però, il presidente ha bisogno di almeno 60 consensi su 100, per evitare il “filibustering”, l’ostruzionismo che farebbe slittare la decisione alle calende greche. In questo momento i voti favorevoli sono solo 40, mentre gli indecisi sarebbero 35. Come si vede, la strada per la Casa Bianca sembra un sentiero himalayano. che s’inerpica in mezzo alle nuvole. Né più incoraggianti sono i sondaggi che riguardano l’opinione pubblica, che di guerre pare averne piene le tasche. Dunque, le chiacchiere stanno a zero e i numeri parlano chiaro: Gallup, Reuters/ Ipsos, The Economist/You- Gov, Pew Research, NBC News e ABC News/Washington Post danno, tutti, quasi due americani su tre contro la rappresaglia americana. Nei giornali, poi, i dubbi si moltiplicano come i funghi. Così Cilliza e Blake, sul Washington Post, illustrano tutta la freddezza del Congresso, mentre Andrew McCarthy, sulla National Review, sottolinea le contraddizioni di Kerry, Segretario di Stato. Che prima “testimonia” davanti allo speciale comitato parlamentare, dicendo che almeno 25 mila uomini di al Qaida combattono con i ribelli, e poi propone di intervenire contro Assad. Ricapitoliamo. Obama, stringi stringi pensa questo: male che vada (voto contrario, come probabilmente, in cuor suo, spera) la faccia la perdiamo tutti. In caso contrario, con quattro missili e un grappolo di bombe ci togliamo il pensiero. E “salviamo” la democrazia. Più Napoli che Washington, insomma.

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