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Riprese le ricerche
dei dispersi

Sono riprese questa mattina nelle acque davanti Cala Croce, a Lampedusa, le ricerche dei dispersi del naufragio di giovedì scorso. I sommozzatori, che nella giornata di ieri hanno recuperato dal relitto e dalle acque circostanti 83 cadaveri, stanno ora lavorando nella zona del cassero del peschereccio, dove si trovano ancora corpi. Solo dopo questi recuperi i sommozzatori entreranno nella stiva del barcone.

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Nove cadaveri all'ora, uno ogni sei minuti, 83 corpi in nove ore di lavoro: "laggiù sembra Pompei, ci sono pile di uomini e donne uno sull'altro. E' un incubo". Come cala lo scirocco e le onde si chetano, il mare di Lampedusa si trasforma in un gigantesco verme che rigurgita morti. Lo sapevano tutti che là, ad un miglio e mezzo da quel posto meraviglioso che è Cala Croce, c'era un inferno. Ma tutti speravano che i conti fatti dai sopravvissuti del naufragio di giovedì fossero sballati, numeri buttati lì tanto per dire: e invece la realtà è peggio del peggior incubo. E dunque a questo punto è chiaro a tutti che sì, su quella barca c'erano più di cinquecento persone, 518 per la precisione. Il che significa che se 155 sono i miracolati che ce l'hanno fatta e 194 i corpi recuperati, 169 sono ancora a 47 metri di profondità. Il che significa che, alla fine di quest'orrore, i morti potrebbero essere 363. Tanti cadaveri quanti ce ne furono nel terremoto che ha distrutto L'Aquila.

 Ma stavolta la colpa dell'ecatombe non è della natura; non c'è alcun evento improvviso che arriva senza avvisare e contro il quale si può solo fare prevenzione, costruendo edifici, scuole e ospedali con i giusti criteri antisismici. Qui la responsabilità è di un Occidente che si definisce civile ma pensa di affrontare un problema come quello di chi scappa da guerre e fame con la repressione. Alzando muri, anziché includere. E allora è l'Occidente che deve chiedere perdono e, soprattutto, trovare le soluzioni affinché mai più si debba raccontare una simile strage d'innocenti. Forse stavolta i politici e i politicanti di professione hanno imparato davvero la lezione. O molto più probabilmente, davanti a numeri così enormi, non possono più voltarsi dall'altra parte. Così mercoledì arriverà a Lampedusa, per la prima volta, il presidente della Commissione Europea: Manuel Barroso sarà accompagnato dal ministro dell'Interno Angelino Alfano e potrà rendersi conto di persona come nell'ultimo lembo d'Europa vivono e muoiono i migranti. Si muove anche l'Italia: il premier Enrico Letta annuncia che è ora di mettere in campo un rapporto "più stingente con la Libia", per evitare che da lì partano centinaia di carrette all'anno. E il ministro per gli Affari Europei Enzo Moavero sottolinea che l'Italia porterà al prossimo vertice Ue in programma a fine mese il nodo dell'immigrazione. Per dire basta a questo scempio e per tentare di far nascere davvero gli stati uniti d'Europa. 

L'altra urgenza fondamentale, ormai l'hanno capito anche i muri, è rivedere la Bossi-Fini, quella legge che obbliga un magistrato a iscrivere nel registro degli indagati per il reato di immigrazione clandestina i migranti sopravvissuti al naufragio. Questa potrebbe essere la volta buona: il ministro dell'Integrazione, Cécile Kyenge, annuncia proprio davanti ai morti che il mare restituisce che la settimana prossima i ministeri competenti si siederanno attorno ad un tavolo per affrontare il problema e cancellare una norma che si fonda su un approccio repressivo del fenomeno. Si sente alta anche la voce di Francesco. Il pontefice ha inviato sull'Isola il suo elemosiniere, monsignor Konrad Krajewski. E durante l'Angelus ha lanciato l'ennesimo grido di dolore: "Preghiamo tutti in silenzio per questi nostri fratelli e sorelle, uomini, donne e bambini. Lasciamo piangere il nostro cuore, in silenzio". Quel silenzio che c'è laggiù, in fondo al mare. L'immagine che i sub di Guardia Costiera, Vigili del Fuoco, Guardia di Finanza, Marina e Carabinieri vedono è di quelle che non si cancellano: una massa di corpi pigiati uno sull'altro; un blocco di carne umana senza più vita; uomini e donne rimasti come nell'istante della morte. Alcuni sono in posizione fetale, altri hanno le braccia alzate come a volersi proteggere, altri ancora sembrano Cristi in croce, con le braccia aperte e la faccia infilata nella sabbia. Dentro il barcone è ancora peggio: un'unica massa nera. Immobile. "Sono attaccati l'uno con l'altro - racconta uno dei sub - da vivi non avevano più di 30 cm di spazio a testa. Ci sono pile di uomini e donne nella stiva, ne togliamo una e sotto ce n'è un'altra. Non si vede la fine". Li tirano fuori ad uno ad uno e poi li portano in superficie legati ad una corda alle caviglie, come si fa con i polli da mandare al macello. "Dentro e intorno alla barca è ancora pieno. E chissà quanti ancora ne troveremo quando allargheremo il raggio delle ricerche".

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