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Mignacca, presi anche
i fiancheggiatori

Cinque anni di latitanza, decine di covi cambiati  spostandosi fra le province di Messina, Catania, Siracusa ed Enna ed una rete di fiancheggiatore fittissima che i Carabinieri hanno smantellato la notte scorsa. Fedelissimi dei fratelli Calogero e Vincenzino Mignacca che in cinque anni hanno fornito assistenza,  li hanno riforniti di viveri e medicinali, li accompagnavano da un covo all’altro e sorvegliavano la loro latitanza. Le manette sono scattate per Sebastiano, Oscar e Giuseppe Galati Sansone, Salvatore La Fornaia, Carmelo Ventre Bontempo e Sebastiano Tilenni Scaglione. Arrestato anche Giuseppe Caniglia,  31 anni figlio del proprietario del fondo di Lentini in cui si nascondevano i Mignacca.

Proprio pedinando ed intercettando alcuni di loro, dopo 5 anni di affannose ricerche, due mesi fa  i Carabinieri hanno intuito che i latitanti si nascondevano nelle campagne di Lentini.   Poi dieci giorni fa la clamorosa svolta.  Grazie ad una microspia posta sull’auto di Sebastiano Galati Sansone una notte un Carabiniere in servizio d’ascolto riconosce la voce di Calogero Mignacca che si sta spostando per raggiungere una masseria in cui si trova il fratello Vincenzino. Nessun dubbio che si trattasse del boss di Montalbano elicona. S’intensificano le indagini e due giorni dopo il padrino viene addirittura filmato dai Carabinieri. Sta entrando nel covo di Lentini in cui verrà catturato. Entrano così in azione li uomini del Gruppo d’Intervento Speciale di Livorno. Ieri mattina, certi della presenza dei latitanti nel casolare, circondano l’edificio, intimano la resa, poi sfondano la porta, lanciano nel covo dei flash bang e bloccano subito Calogero. Poi si sente uno sparo. Nella stanza accanto Vincenzino Mignacca, da tempo gravemente malato, piuttosto che farsi catturare, preferisce suicidarsi sparandosi un colpo di pistola alla testa. Nel covo i Carabinieri sequestrano un vero e proprio arsenale: due pistole, una mitragliatrice, tre fucili ed un  kalashnikov. Sotto sequestro anche un computer portatile, un’auto risultata rubata a Catania nel 2011 e numerosi pizzini con i quali i boss comunicavano con i fiancheggiatori. Tutto, materiale ora al vaglio della DDA di Messina che per cinque anni ha gestito le indagini sulla latitanza dei mignacca che dai covi di campagna hanno continuato ad impartire ordini ai loro uomini ed a gestire le attività illecite per i quali negli anni sono stati raggiunti da diversi ergastoli con sentenza definitiva.

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