L’Azienda Italia, nonostante il debito pubblico abbia superato i 2mila miliardi di euro, quanto vale? E con quali criteri bisogna valutare la sua solvibilità, dunque il valore dei Titoli di Stato? Certo la finanza creativa, purtroppo, è ancora di gran moda ma la Corte dei conti, chiamando sul banco degli imputati Standard & Poor’s, Fitch e Moody’s, è andata oltre. Con tanto di richiesta di risarcimento danni.
Qual è il ragionamento? Le tre agenzie di valutazione, che orientano i mercati finanziari, tra il 2011 e il 2012 hanno declassato Btp, Bot e Cct quasi a livello di “spazzatura”, con effetti negativi sui tassi d’interesse sul debito sovrano e “corporate”. Nel fare le “stime”, ecco la contestazione, non avrebbero tenuto conto della ricchezza immateriale dell’Italia, quella generata dal patrimonio ambientale, artistico e culturale. Ma come calcolare un bene “impalpabile”, non riconducibile a nessuna dimensione neanche economica?
Come sempre noi italiani non riusciamo a fare a meno di tutto ciò che regala visibilità, parlando di tutto e realizzando poco o niente. Le società in questione non sono il massimo di obiettività e affidabilità, cantonate ne hanno prese, eccome, ma accusarle di non avere “contabilizzato” la ricchezza immateriale, che vantiamo per... diritto di nascita, fa sorridere.
Siamo studenti svogliati e saremo sempre bocciati perché non intendiamo fare i compiti per casa. Meglio ricordarlo, piuttosto che cercare giustificazioni, quando qualcuno ci tira le orecchie. Ecco cosa c’è scritto nel diario dell’Italia: l’enorme debito pubblico non scende di un centesimo, la produzione industriale decresce da anni (- 3% solo nel 2013), l’overdose di tasse distrugge famiglie e imprese, la spesa pubblica è ipertrofica e improduttiva, la politica e la burocrazia non sono all’altezza di un Paese civile, gli evasori fiscali non finiscono in galera, la Giustizia è una lumaca e, qualche volta, arruffona.
C’è tanto altro, dunque, che dovrebbe essere portato all’attenzione dei tribunali e, in qualche caso, di un buon neuropsichiatra.
Perché? L’ultimo studio dell’Università Bocconi e di Prometeia evidenzia che il 52% di pressione fiscale sulle imprese (tra le più alte dell’Occidente industrializzato) è solo la risultante della media tra il 30% pagato da chi produce in gran parte all’estero e l’80% circa che sborsa chi fa lavorare gli italiani. Tutto effetto di Irap (cosa ve ne pare, si paga in base al numero dei dipendenti) e Imu sugli immobili d’impresa. Cosa ci vuole di più per sfrattare gli imprenditori e moltiplicare i disoccupati? Roba da pazzi!