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Europa, ecco tutto
quello che non va


di Piero Orteca

Ora basta. Avete mai visto uno che comincia a vestirsi mettendosi il cappello, o annodarsi la cravatta prima di infilarsi la canottiera? Beh, noi sì, e più di uno. Si trovano tutti alla Commissione della Ue e vi spieghiamo perché. Molto semplice: l’Unione nasce prima come “mercato” e solo dopo, a poco a poco e con malcelata insofferenza e diffuse diffidenze, come “patria”. Punto. Da questa semplice considerazione discendono tutte le altre. Non bisogna passare da Oxford per capire ciò che non va a Bruxelles, perché si tratta di magagne macroscopiche e in technicolor. Passate le elezioni europee, sui cui risultati molti commentatori “de noantri”continuano a prendere cavoli per lampioni (leggere, prego, le analisi dei più prestigiosi media mondiali per accorgersi dove stiamo andando a parare), crediamo che sia giunto il momento di far parlare i fatti. La gente, i giovani, i disoccupati, i pensionati, le categorie sociali più deboli, insomma, esigono risposte. Non prediche. Quelle sono gratis. E fatte da chi si becca una botta di migliaia di euro al mese, di stipendio o di varia indennità, non fanno testo. Quindi, mettiamo da parte i tromboni, vecchi o meno stagionati, che sanno solo cianciare aria fritta e tagliare nastri, e guardiamo i numeri. Che hanno un pregio assoluto, perché dimostrano quello che non va, impedendo a certi politicanti, di qualsiasi bandiera, di continuare a parare sacchi in piedi. Con un’avvertenza “metodologica” per i benpensanti in servizio permanente effettivo, per coloro che sparano sentenze con tanto di salame sugli occhi o che pontificano in clamorosa malafede: chi sottolinea i difetti dell’Unione Europea non è per forza un “euroscettico”. Anzi, paradossalmente, proprio chi non chiude gli occhi davanti alle sue incongruenze, alle palesi assurdità e all’evidenza di una burocrazia asfissiante e parruccona, si rivela molte volte un sostenitore più convinto della solidarietà tra i popoli. E allora apriamo i “cahiers de doléances” o, per dirla più terra terra, i “libri dei peccati” di Bruxelles e affondiamo il coltello nelle piaghe, che assomigliano ai bubboni della pestilenza di manzoniana memoria. In primis il Pil, cioè la ricchezza prodotta e da produrre. L’Area Euro nel 2014 si dovrebbe fermare all’1-1,2%. Cioè meno della metà degli Stati Uniti (+2,6%) e appena la miseria di un quinto di quanto sarà capace di crescere la Cina (+7,4). Il dato è fondamentale, perché cammina a braccetto con la speranza di creare nuovi posti di lavoro o, meglio, con la necessità di frenarne l’emorragia. La disoccupazione, infatti, specie quella giovanile, è l’emergenza europea più immediata. A fronte di una media che arriva al 12% circa, alcuni Paesi sono sull’orlo del precipizio. La Grecia (tanto per non cambiare) è al 26,5%, la Spagna al 25,3%, la Polonia al 13% e l’Italia al 12,7. La Francia, che prima dormiva tra due guanciali, viaggia sul 10,4%, grazie a Monsieur “Disgrazia” Hollande, un grigio impiegato statale messo a fare il presidente della Repubblica. Un uomo tanto limitato e mediocre da far giganteggiare persino il Fronte Nazionale dei Le Pen, che sembrava ormai passato di moda. Per renderci conto dei “differenziali”, basti pensare che gli Stati Uniti sono nel Paradiso terrestre (6,3% di senzalavoro), la Cina è addirittura al 4,1% e il Giappone al 3,6%. E siccome la UE cammina come le statistiche di Trilussa (tutti mangiano mediamente un pollo, ma c’è chi se ne pappa quattro e chi non vede manco un osso, nemmeno a cercarlo col binocolo), citiamola Grande Germania di Frau Merkel, che con un tasso di disoccupazione del 6,7% se ne frega assai di ciò che succede nel resto dell’Unione. Ma il dato più significativo (e più orripilante per noi italiani) è la produzione industriale. Siamo gli unici, assieme alla Svezia e alla Francia ad averla negativa (-0,4%). Per cui gli analisti che ci promettono mari e monti o sono cretini, o fanno i cretini o credono di avere a che fare con dei cretini. Punto. La Spagna, che era in sala rianimazione, mostra un significativo +8% e persino la Grecia, data (giustamente) per moribonda, vanta un +3,1%. In tutto l’Est Europa, poi, si marcia a gonfie vele, e la stessa Germania, tra mille lagnanze, alla fine si accontenta di un +3%. Dicevamo della Francia, ormai in caduta libera (-0,8%). Un altro paio d’anni di presidenza Hollande e i nostri cugini transalpini andranno a fare concorrenza ai bulgari. Scommetteteci. Marine Le Pen non è uscita a sorpresa come un coniglio dal cilindro del Mago Silvan. Le spiegazioni ci sono e non conducono sicuramente tutte alle maccheronate che fanno a Bruxelles. L’ultimo dato su cui vi vogliamo invitare a riflettere è quello sull’inflazione, che nell’Area Euro è allo 0,9% e in Italia, addirittura, allo 0,5%. Una cosa buona? Per niente. È il termometro d’un corpo (economico) che si va raffreddando verso una rigidità cadaverica. Insomma, la cura di “austherity” impostaci dai vari professoroni europei che prendevano ordini a bacchetta dalle grandi banche (e che il Nobel americano Krugman definisce impietosamente “palloni gonfiati”) ci ha portati sulle soglie dell’obitorio. Le chiacchiere stanno a zero, i numeri parlano da soli e chi cerca di girare la frittata mente spudoratamente. La colpa è principalmente della Germania, che sopporta Mario Draghi alla presidenza della BCE solo a condizione di continuare a fare il bello e il cattivo tempo e cioè di combattere l’inflazione fino all’ultimo globulo rosso, anche a costo di far sprofondare il Continente nel baratro della deflazione (la rigidità cadaverica di cui sopra). Che volete farci, non è un problema di teoria finanziaria, ma piuttosto una questione da trattare alla neurodeliri. Ogni volta che la coperta è troppo corta, cioè che i conti non tornano (per loro), i tedeschi si sdraiano sul lettino dello psicanalista e strepitano, sbavando, contro la finanza “allegra” di certi Paesi. Ma la pantomima non funziona più. Andate a consultare, prego, gli indicatori statistici dell’economia prussiana. Sono bravi? Ovvio, ma anche furbi a tirare la corda dalla loro parte. A Berlino le cose le fanno con la testa (chiodata), specie quando si tratta di arraffare denari e di abbuffarsi di commesse commerciali. E, come abbiamo già scritto e ancora ribadiamo, il loro sottofondo preferito non è più lo sferragliare dei cingoli dei panzer, ma quello ben più armonioso dei registratori di cassa.

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