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Vivere in apnea
drogati di presente


di Alessandro Notarstefano

Un’Italia, l’attuale, che ha talenti col contagocce. Se ne vedono davvero pochi, ovunque si volga lo sguardo. Un Paese che, tranne alcune irriducibili eccezioni, legge meno del minimo sindacale, approfondisce nulla o quasi, e s’accontenta dell’ovvio. Evviva il buon senso comune: per esser paghi basta intrattenersi e far ghirigori intorno al ragionevole. La gran parte degli italiani, addomesticata dalla tv – quella dei peggiori talk show, grondanti di “specialisti” e improvvisatori buoni per tutti gli argomenti – che insegna rassicuranti categorie e rivendibili soluzioni, non vuol capire ma “sapere”, non vuole accedere a pensieri ma a informazioni e facili slogan. Poveri noi, ché molti degli “specialisti” sono spesso ex improvvisatori che hanno avuto accesso a cattedre e onori “per usucapione”… Quasi tutti insulsi e tristissimi, i programmi tv di queste ultime quarantott’ore su Yara e sul triplice omicidio di Motta Visconti: un campionario di luoghi comuni tra “derive psichiatriche” e“condizione femminile”, tra saggezza quale si può esprimere in un salone da barba o davanti a un bicchiere, nazionalpopolare, di vermouth, e demagogici manifesti i cui punti qualificanti sono l’umano riscatto (cioè tutto e niente) e una generica domanda di giustizia. In siffatte epifanie televisive non è mancato, per gradire, qualche (scontato) rimando a Lacan, mai nominato ma sempre indirettamente tirato in ballo allorché, a torto o a ragione, baleni – in malsane conversazioni da salotto (che si sia o no in uno “spettacolo di conversazione”) - la parola “annientamento”. Nella fattispecie: il trentunenne che sgozza moglie e due figli è talmente sperso, rispetto alla propria identità, che uccide loro perché vuole annientare se stesso, cancellare ogni “errore”per potere – di nuovo – riconoscersi. Doppia non commestibile boutade: per il pubblico “semplice” è quest’ultima, e lo resterà per sempre, una palese forzatura, una sciocchezza alla trentaduesima; per il pubblico “avvertito” è questa – invece – una “verità” talmente acquisita da essere banale, mortificante semplificazione d’una tragedia il cui paradigma è molto complesso e esemplarmente occidentale. Di quest’Occidente malato, giunto alle sue estreme distorsioni, suoi inevitabili tragici approdi. Società consumistiche producono consumatori. Che tali restano non soltanto nei supermercati e negli agognati negozi che vendono merce griffata, ma anche nella vita di relazione: mentre provano a dare un’immagine di sé, mentre lavorano, mentre corteggiano e tentano di sedurre, mentre certificano punto per punto la loro vita sui social network, mentre vagolano tra le mura domestiche. I consumatori cambiano prodotto, uccidono il precedente per dar spazio a quello successivo, più appetibile, più efficace per la propria pelle, per la propria persona, per il nuovo “me stesso” da rifondare ogni giorno. Ogni giorno e ogni giorno, a una velocità vorticosa. La famiglia, qualsiasi famiglia è lenta, qualsiasi amore da costruire è lento, qualsiasi percorso professionale è lento, tutto è lento. Nulla può tenere il passo d’una vita che deve valere tre vite almeno, se non quattro o cinque. Il consumatore è intollerante, cieco di desiderio vero perché “desidera” tutto: s’avvede del compiuto soltanto “dopo” aver ucciso, quando viene risvegliato e chiede – ultimo spettacolino – d’aver inflitta la pena massima (gli sfugge, poveretto, ogni concetto di durata, è drogato di presente…). La nostra, poiché “inesperti”,è soltanto una congettura al di qua della barbarie dei femminicidi – brutto neologismo di questi più brutti devastati tempi –, al di qua dell’approccio psichiatrico – il solo che possa affrontare il “disvalore” aggiunto (la macelleria) –. Il novantanove per cento di noi, per fortuna, non porta il proprio “disagio” ai suoi punti di non ritorno e si muove nel “reversibile”; pure, la gran parte di noi consuma la vita in un’indecorosa apnea, sospeso ogni Valore (e quindi ogni rapporto con la Storia). Drogati, appunto, di presente per negare la morte: non è questo, il consumismo?

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