Per capire la portata e la valenza della notizia è come se a Palermo si pentisse Totò Riina. Perché il boss 43enne Carmelo D’Amico, che da qualche settimana sta riempiendo in gran segreto parecchi verbali davanti ai magistrati della Dda di Messina, è stato il capo dell’ala militare di Cosa nostra barcellonese per molti anni, nonché il “titolare” degli interessi economici della famiglia mafiosa per la zona di Milazzo. È un intero territorio “trema”. Basti pensare, è storia processuale, che quando tempo addietro chiese più “spazio” minacciando una guerra se non l’avessero accontentato, i capi storici con in testa Giovanni Rao si consultarono e decisero di accogliere le sue richieste, perché si resero conto che era diventato troppo potente sulle strade della mafia tirrenica che faceva affari con le estorsioni, la droga e gli appalti pubblici. D’Amico non è certo un uomo di secondo piano nella geografia mafiosa tirrenica, conosce anche tutto del “terzo livello”, degli accordi con i politici corrotti, delle tangenti, delle rotte della droga. Il suo clamoroso pentimento che ieri è diventato “visibile” con la nuova campagna di scavi per trovare i morti ammazzati sin dagli anni ’90 nei torrenti tirrenici e poi gli arsenali di Cosa nostra tra Barcellona, Terme Vigliatore, Rodì Milici e San Filippo del Mela, ha una portata veramente fondamentale per ricostruire ancora meglio la storia dei Barcellonesi dopo le recenti operazioni “Gotha”, e costituirà senza dubbio per il futuro una fonte inesauribile di informazioni per magistrati e investigatori.
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