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Gaza, l’alleanza
che non ti aspetti


di Piero Orteca

  L’alleanza che non ti aspetti. Sotto le macerie di Gaza si sta consumando una tragedia che nasconde inghippi, manovre e colpi di scena che sembrano usciti da un film di Hitchcock. In sostanza, l’a ttacco alla “Striscia” è frutto di un’intesa a tavolino tra Israele, Arabia Saudita ed Egitto. Gli americani, che hanno provato a mettersi di traverso, escono da quest’ennesima prova di forza con le ossa rotte. L’Europa, che conta quanto il due di coppe quando la briscola è a denari, pare sia stata convinta a non fare troppe storie grazie ai petrodollari degli sceicchi del Golfo. Anzi, per la prima volta, un documento di Bruxelles parla di terroristi che, nella Striscia di Gaza, «si fanno scudo della popolazione». La verità è che, colpendo Hamas, si vuole dare una legnata sul turbante degli ayatollah e, più o meno indirettamente, su quella di Hezbollah. Ormai le crisi regionali si tengono per mano e, dietro i polverosi calcinacci di Gaza, si agitano altre millanta rogne mediorientali, che manco gli ex poliziotti del mondo a stelle e strisce riescono più a dominare. Dunque, Netanyahu, il re Abdullah e il generale Fattah El Sisi hanno preparato un piattino di quelli tosti, cogliendo in contropiede Casa Bianca, Dipartimento di Stato e Pentagono. Gli israeliani studiavano il colpaccio da mesi e hanno potuto schierare 75 mila uomini, senza sollevare troppa polvere, grazie alla compiacenza egiziana (e forse anche a quella dei palestinesi di Abu Mazen) e ai denari dei sauditi. Tutti erano ansiosi di andare all’attacco del terrorismo esportato in ogni direzione proprio dalla Striscia di Gaza. Certo, bisognerà vederci più chiaro. E capire chi ha deciso di sparare centinaia di razzi e missili su Israele. Ma resta un fatto incontrovertibile: la “Striscia” è il campo neutro di una partita cominciata altrove, con la “Primavera araba” e con la maldestra condotta della guerra in Siria, dove Obama aveva promesso di fare carne di porco. Minacce di sguincio rivolte al presidente- dittatore Assad, missili sulle rampe di lancio, truppe pronte a scatenare il finimondo partendo dalla Giordania, rapporti eccellenti con i ribelli sunniti, schermaglie diplomatiche con Putin e, last but not least, giochi di “quasi-guerra” con gli ayatollah iraniani. Poi è successo qualcosa. Se a Isacco Newton, leggendario fisico e matematico, illustre scopritore della gravità, si dice che l’idea fosse venuta da una mela cadutagli sulla testa, a Obama, vista la spettacolare “i nvenzione” diplomatica che ha tirato fuori dal cilindro, dev’essergli piombato sulla capa quantomeno un cocomero di quelli extralarge. Il venerdì prima dell’attacco programmato contro la Siria, il mondo fremeva, i pacifisti marciavano in tutte le direzioni e Obama passeggiava nervosamente nei giardini della Casa Bianca. Il suo istinto gli diceva che la cosca “guerrafondaia” dei suoi adviser, che già lo aveva inguaiato in Egitto e in Libia, al tempo della Primavera araba, stava per fare nuovi danni. Così ha cercato altre strade per allungare il brodo, dando a tutti l’i mpressione di essere diventato un comandante con la spina dorsale di plastilina. È stato il prezzo, salato e bruciante, che ha dovuto pagare al suo disegno di rimettere le cose a posto senza sparare un colpo, coinvolgendo, in quella specie di polpettone diplomatico, anche i suoi collaboratori. Un periodo duro, al punto che il nostro cavaliere senza macchia e senza paura ha cominciato a non fidarsi più manco della sua ombra. Sia Kerry che il Ministro della Difesa, Chuck Hagel, sono stati tenuti “a bagnomaria” durante la stesura del piano segreto con l’Iran. Questo cambio di strategia in corsa ha provocato tutta una serie di ribaltoni: la Casa Bianca ha scelto Teheran come partner privilegiato, per cercare di raffreddare la crisi siriana e anche per risolvere definitivamente il rompicapo nucleare con gli ayatollah. Arabia Saudita, Egitto e sunniti di tutte le estrazioni sono passati rumorosamente dall’altro lato, avvicinandosi alla Russia di Putin. Altro segnale fin troppo chiaro che la Primavera araba si è trasformata in una lotta all’ultimo sangue tra gli sciiti e la galassia sunnita. Ora, il fronte caldo della crisi spacca pericolosamente in due tutto il Medio Oriente e Gaza ne è ridiventata l’epicentro. A Gerusalemme Netanyahu, il ministro della Difesa Moshe Ya’alon e il Capo di Stato maggiore Benny Gantz coordinano le operazioni dopo essersi consultati con il re saudita Abdullah e col presidente egiziano El Sisi. A far da tramite i direttori dei rispettivi servizi segreti: Tamir Pardo (Mossad), Bandar bin Sultan (Arabia) e Fareed al-Tohami. I tre Paesi hanno deciso di non permettere a nessuno, e men che meno agli Stati Uniti, alcuna interferenza nel loro piano per annichilire Hamas. Il Segretario di Stato Usa, John Kerry, cacciato a pedatone dalla porta, sta cercando di rientrare dalla finestra, per conservare intatto tutto il potere contrattuale del suo Paese, anche se ormai i giochi sembrano fatti. Gli israeliani hanno rischiato il combattimento vicolo per vicolo schierando circa 55 mila uomini dentro la “Striscia” ed esponendosi a una possibile e temuta “v i e tnamizzazione” del conflitto. Questa volta, però, hanno messo in conto anche il peso di perdite inevitabili (una cinquantina di uomini finora) schierando truppe altamente addestrate. È proprio l’intesa raggiunta coi sauditi e con gli egiziani che spiega come mai Netanyahu non abbia avuto esitazioni a varcare il Rubicone, esponendosi a una situazione che aveva tutte le caratteristiche di un trappolone. Oggi le mosse delle truppe israeliane sono decise assieme a Riad e al Cairo e sono finalizzate a chiudere la partita, prima che Hamas “infetti” anche il Sinai, appoggiandosi alle formazioni qaidiste beduine. Il problema più grosso è che l’a v i azione israeliana non è riuscita a “sterilizzare” la reazione di Hamas nelle prime fasi dell’operazione. E ora è troppo tardi. Occorre affidarsi alle truppe di terra, efficienti quanto si vuole ma pur sempre bersaglio privilegiato di combattimenti che mai e poi mai si potranno svolgere in campo aperto. Infatti, proprio per questo il leader di Hamas, Khaled Meshaal, ha spedito agli uomini di Netanyahu un avvertimento corto e netto: preparatevi a un altro paio di mesi di scontri sanguinosi. Noi non dormiremo di sicuro, ma voi ne vedrete delle belle.

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