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Colloqui segreti
Usa-Assad-Iran


di Piero Orteca

 Prima i colloqui “segretissimi” e poi addirittura una lettera “classificata”, consegnata direttamente sulla scrivania della Guida Suprema dell’Iran, l’ayatollah Alì Khamenei: mittente, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. L’argomento sul tappeto è quello che da diversi mesi toglie il sonno ai capoccioni della Casa Bianca e delle Cancellerie occidentali. E cioè la straripante avanzata delle milizie dell’Islamic State, in Irak e in Siria, e la presenza, sempre più ingombrante, del “Califfo” Abu Bakr al Baghdadi, ormai considerato il nuovo bin Laden, nello scacchiere mediorientale. Gli israeliani (e chi se no?) da lunga pezza forniscono le imbeccate giuste e fanno circolare spifferi maliziosi sulla “luna di miele” tra Washington e Teheran. Per la serie “i nemici dei miei nemici diventano i miei amici (del cuore)” Obama già da tempo si è scelto una nuova “comparanza” con gli sciiti persiani, deludendo molti dei tanti “Capitan Fracassa” europei (inglesi e francesi in primis), che speravano di fare della Siria il campo neutro dove riconquistare un po’ delle glorie perdute. Il nemico pubblico numero uno, in questa fase della storia, è quindi diventato il “Califfo”, a cui la Casa Bianca spera di fare prestissimo la festa. In verità, con le sue capriole, Obama ha scontentato alla grande anche i sunniti della regione, a cominciare dai sauditi, che guardano di sguincio la “strana alleanza” tra Usa e ayatollah. Ora, a completare l’opera, arrivano conferme di primissima mano su giochi diplomatici, che sembrano usciti da un romanzo di spionaggio. Dunque, le solite fonti “bene informate” (di Gerusalemme) hanno rivelato l’organizzazione di un sensazionale meeting tra gli americani e il governo siriano dell’ex acerrimo nemico Assad, che avrebbe dovuto, al tempo che fu, essere sotterrato da una pioggia di missili. I colloqui sarebbero stati organizzati a Mascate, in Oman, grazie ai buoni uffici degli iraniani, questa volta in vesti di grandi cerimonieri e “sensali”. Oggetto dell’incontro: coordinare la santa alleanza “segretissima” (come quella di Pulcinella) tra Obama e Bashar al-Assad per arrestare l’avanzata dell’IS in Siria e impedire massicce campagne terroristiche in Occidente. Che sarebbero condotte dai volontari (di ritorno) convertitisi all’Islam e partiti dall’America e dall’Europa. E fin qui ci siamo. L’altro capitolo della mappazza diplomatica, riguarda il ruolo, sempre più da protagonista, che gli Stati Uniti hanno ritagliato per l’Iran, diventato il Paese-ponte tra due ritirate (poco strategiche), quella dall’Afghanistan e quella dall’Irak. Insomma, per smammare senza lasciarsi un cumulo di macerie e una montagna di rogne alle spalle, gli americani hanno bisogno di qualcuno che riempia il vuoto di potere creatosi e che, soprattutto, garantisca la “sterilizzazione” del fondamentalismo terroristico sunnita. Alla Casa Bianca, un bel mattino, si sono svegliati dal lato (giusto?) del letto e hanno pensato di cambiare musica e musicanti, spedendo messaggi d’amore agli ex mortali antagonisti. Dal canto loro, a Teheran, messo da parte il quadro di Satana con le sembianze dello Zio Sam che si erano appesi al capezzale dei letti, gli eredi di Khomeini hanno abbozzato, scendendo a patti. In fondo, Obama, stringi stringi, garantisce all’Iran il ruolo di potenza regionale e s’impegna a non mettere (più di tanto) il becco nell’affaire delle costruende bombe atomiche, a cui gli ayatollah tengono più delle loro barbe. Questo spiega perché il presidente Usa si sia deciso a scrivere direttamente a Khamenei. Certo, per salvare la faccia, nella lettera spedita alla Guida Suprema, ha dovuto fare riferimento al contenzioso nucleare tra mille tuffi carpiati e mille acrobazie lessicali, dicendo che, blablabla e ancora blablabla, ostacolerebbe la “liason d’amore” (o le “relazioni pericolose”, fate voi) con i nuovi compari del Golfo. Ma, al di là della prevedibile ondata di critiche, come quelle avanzate da Michael Singh sul WashingtonPost, resta il fatto che Obama ha dimostrato a tutti, a cominciare dall’esercito dei suoi “adviser” più ideologizzati, che qualche volta bisogna calarsi la maschera e stringere le mani a quelli che fino a ieri ti hanno preso a pedate nel sedere. Specie se si tratta di scegliere il male minore. Che, in questo caso, udite udite, sono quei “barbudos” dei pasdaran, che fino a poco tempo fa tenevano bordone ad Ahmadinejad e oggi, invece, sono visti da alcuni come prezioso antidoto contro lo scanna-scanna messo in moto dal “Califfo”. Il dibattito, insomma, s’infiamma e i pareri autorevoli (e contrapposti) si sprecano. Sull’autorevole rivista “Foreign Policy” le riflessioni sul cambiamento di strategia voluto dalla Casa Bianca vanno dalla diffidenza (“L’accordo pericoloso con l’Iran” di Dov Zakheim) al sostegno (“Scambi epistolari con gli ayatollah” di Trita Parsi). Nel primo caso, viene sottolineata la fretta di Obama nel chiudere presto (entro il 24 novembre) uno straccio di accordo sul nucleare. È la “finestra” utile da sfruttare, prima che il prossimo Congresso, tutto repubblicano, impallini senza pietà le sue novità diplomatiche con l’Iran. E già il buongiorno si è visto dal mattino, col senatore Mc- Cain, coriaceo avversario di Obama alle presidenziali del 2008, pronto a sparare a zero e a dichiarare che gli accordi con gli ayatollah saranno stracciati. Chi appoggia la Casa Bianca, invece, vede nella lettera a Khamenei un esempio adamantino di “realpolitik”, una mossa necessaria per chiudere il “Califfo” in una gabbia e gettare la chiave a mare. La Parsi ricorda come anche Bush (figlio) abbia collaborato con Teheran dopo l’11 settembre e abbia utilizzato gli sciiti iraniani in qualità di “sponda” per gestire la rogna afghana. Tranne, poi, fare marcia indietro (spinto dai “falchi” che affollavano la sua Amministrazione) e rimangiarsi una strategia che aveva dato buoni frutti. Adesso tocca a Obama dimostrare che scendere a patti con l’ex diavolo è sempre meglio che vendere l’anima ai demoni contemporanei, quelli che, sulla copertina della loro rivista (“Dabiq”), hanno già piantato la bandiera nera dell’IS sull’obelisco di Piazza San Pietro e che, lanciamissili “Stinger” in spalla, sarebbero già in condizione di abbattere qualsiasi aereo civile dei “crociati occidentali”. Se i “consiglieri” di Obama, che finora hanno combinato un manicomio diplomatico in Nord Africa e nel Golfo Persico, non arrivano a capire da quale parte arrivano i pericoli più immediati…beh, allora è meglio che cambino mestiere. Un carrettino per vendere hot dogs lo troveranno sempre.

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