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La morte di Loris
e il giornalismo
da "reality show"

 

di Fausto Cicciò
Già da diversi anni c’è chi, come Umberto Eco, avverte del rischio, per chi naviga sul Web, di imbattersi in un’enorme “massa di informazioni non filtrate, inattendibili, imprecise”. Un eccesso che finisce con l’equivalere a una assenza di certezze e a una babele in cui regna l’ignoranza.
Se poi questa baraonda di notizie, illazioni, falsi scoop e immediate smentite viene prodotta dagli stessi giornalisti e “operatori dell'informazione” la catastrofe è compiuta. L'ultimo triste capitolo di questa degenerazione digitale è l’inspiegabile sequenza di annunci, “breaking news” e rettifiche attraverso le quali la stampa online e la televisione stanno raccontando affannosamente la vicenda di  Andrea Loris Stival, il bimbo trovato morto in un fossato a Scoglitti, nel Ragusano. 
Come già avvenuto in altri casi analoghi (da Samuele Lorenzi a Sarah Scazzi),  qualunque indiscrezione o pettegolezzo viene spesso “promosso” da ansiosi reporter di alcune agenzie e riferito attraverso le testate su internet (così come dai tg che trasmettono 24 ore su 24) senza le dovute verifiche imposte dalla ormai sconosciuta deontologia professionale. 
In quella che appare sempre più una spregiudicata gara di velocità sulla Rete,  la concitazione agonistica impone di assecondare il dilagante  voyeurismo dei lettori, proponendo non più la cronaca dei fatti ma un “reality show” che sforni una folle sequenza di “post” confezionati su misura per il pubblico dei social network. Un meccanismo avvilente pensato con il solo scopo di conquistare il maggior numero di clic e impressions.
Non è possibile ancora sapere se e quando assisteremo al tramonto del giornalismo “classico” che,  secondo le teorie più di moda, sarà rimpiazzato dal cosiddetto “citizen journalism”  (ovvero la “partecipazione attiva” degli utenti). Ma lasciateci sperare che se proprio dovremo assistere al declino di questo “antico mestiere”, ciò non passi attraverso un “suicidio di massa” causato da una degradante perdita di credibilità.

di Fausto Cicciò

 

Già da diversi anni c’è chi, come Umberto Eco, avverte del rischio, per chi naviga sul Web, di imbattersi in un’enorme “massa di informazioni non filtrate, inattendibili, imprecise”. Un eccesso che finisce con l’equivalere a una assenza di certezze e a una babele in cui regna l’ignoranza.

Se poi questa baraonda di notizie, illazioni, falsi scoop e immediate smentite viene prodotta dagli stessi giornalisti e “operatori dell'informazione” la catastrofe è compiuta. L'ultimo triste capitolo di questa degenerazione digitale è l’inspiegabile sequenza di annunci, “breaking news” e rettifiche attraverso le quali la stampa online e la televisione stanno raccontando affannosamente la vicenda di  Andrea Loris Stival, il bimbo trovato morto in un fossato a Scoglitti, nel Ragusano. 

Come già avvenuto in altri casi analoghi (da Samuele Lorenzi a Sarah Scazzi),  qualunque indiscrezione o pettegolezzo viene spesso “promosso” da ansiosi reporter di alcune agenzie e pubblicato dalle testate su internet (così come dai tg che trasmettono 24 ore su 24) senza le dovute verifiche imposte dalla ormai sconosciuta deontologia professionale. 

In quella che appare sempre più una spregiudicata gara di velocità sulla Rete,  la concitazione agonistica impone di assecondare il dilagante  voyeurismo dei lettori, proponendo non più la cronaca dei fatti ma un “reality show” che sforni una folle sequenza di “post” confezionati su misura per il pubblico dei social network. Un meccanismo avvilente pensato con il solo scopo di conquistare il maggior numero di clic e impressions.

Non è possibile ancora sapere se e quando assisteremo al tramonto del giornalismo “classico” che,  secondo le teorie più di moda, sarà rimpiazzato dal cosiddetto “citizen journalism”  (ovvero la “partecipazione attiva” degli utenti). Ma lasciateci sperare che se proprio dovremo assistere al declino di questo “antico mestiere”, ciò non passi attraverso un “suicidio di massa” causato da una degradante perdita di credibilità.

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