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Accusarono i superiori
A giudizio Masi e Fiducia

Il gup di Roma Cinzia Parasporo ha rinviato a giudizio per diffamazione il capo scorta del pm Nino Di Matteo, il maresciallo Saverio Masi, il suo ex collega sottufficiale Salvatore Fiducia e il loro avvocato Giorgio Carta che, a maggio del 2013, nel corso di una conferenza stampa nello studio romano del legale, avevano accusato gli ex vertici del nucleo operativo di Palermo di avere di fatto impedito loro di portare avanti le indagini che avrebbero potuto portare all'arresto del boss Matteo Messina Denaro. I tre vennero querelati per diffamazione dagli ufficiali Giammarco Sottili, Michele Miulli, Fabio Ottaviani e Stefano Sancricca. I tre saranno processati l'11 maggio del 2016 davanti al tribunale di Roma. A giudizio anche una serie di giornalisti della tv, della carta stampata - tra loro i direttori de "Il Fatto Quotidiano" Antonio Padellaro e di "Servizio Pubblico" Michele Santoro (sia pure con numero di imputazioni ridotte) - che, secondo i pm, riportando le accuse, avrebbero concorso nella diffamazione. Masi e Fiducia sono anche indagati per calunnia a Palermo dove hanno formalizzato una denuncia sostanzialmente sugli stessi fatti oggetto della conferenza stampa che è costata loro il rinvio a giudizio per diffamazione. Il caposcorta di Di Matteo, condannato a sei mesi in appello per falso materiale e truffa e in attesa del giudizio della Cassazione, ha anche deposto al processo per favoreggiamento aggravato all'ex capo del Ros Mario Mori, sostenendo di avere saputo da un suo superiore che, tra le carte sequestrate a casa di Massimo Ciancimino, durante una perquisizione del 2005, c'era il "papello" con le richieste del boss Riina allo Stato. All'ufficiale però sarebbe stato detto dai suoi superiori dell'epoca di non sequestrarlo, perché già in loro possesso. Il papello in realtà è stato consegnato da Ciancimino ai pm di Palermo solo nel 2009. Sull'indagine che oggi ha portato al rinvio a giudizio di Masi, Fiducia, del loro legale e degli 8 giornalisti, è sorta una querelle tra la Procura di Palermo e quella di Roma: i magistrati del capoluogo siciliano hanno eccepito l'incompetenza a indagare dei colleghi della Capitale. Lo scontro è finito davanti alla Cassazione che ha dato ragione alla Procura di Roma. Dopo la richiesta di rinvio a giudizio il pm Nino Di Matteo, con una dichiarazione all'ANSA, aveva ribadito la fiducia nel suo caposcorta. "Se mai - aveva detto -, personalmente, mi sembra singolare che mentre, come è noto, a Palermo si cerca di verificare la fondatezza delle sue denunce, un'altra autorita' giudiziaria incrimini per diffamazione gli autori delle suddette denunce e perfino i difensori e i giornalisti che la hanno rese note". Oggi in udienza il pm titolare del fascicolo, facendo riferimento alla dichiarazione del collega, ha ribattuto che ci si dovrebbe astenere dal commentare indagini che non si conoscono. (ANSA)

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