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Le tasse greche? Le paghiamo tutti noi europei

                                                                                                    di Piero Orteca

 L a Grecia batte ancora cassa. E anche se il proverbio “pokeristico” dice «non piango mio figlio che perde, ma perché si vuole rifare», Tsakalotos, nuovo ministro delle Finanze, pensa che il Fondo monetario internazionale (Fmi) sia un pozzo senza… Fondo. E scrive, scrive, scrive, alla Lagarde, per rilanciare, sperando che le quattro scartine che ha in mano si trasformino, miracolosamente, in una scala reale. Il vero problema, però, è un altro: i cugini greci evadono le tasse, eludono le imposte e – oltre al danno la beffa – arrivano a non contestare quasi il 90% di quello che lo Stato esigerebbe (in linea di principio) come obolo. Tecnicamente si chiama “undisputed tax debt” e le statistiche fotografano una situazione da Oggi le comiche. Uno scandalo? Certo. Ma sicuramente è una tattica che funziona alla grande (per i greci). Tanto, a “saldare” i debiti sono appena stati chiamati (indirettamente, sia chiaro) tutti gli altri imbufaliti abitanti dello scassatissimo condominio dell’euro. Tra cui, in prima fila, noi. E chi se no? Funziona così: molti cittadini ellenici, dopo avere fatto mille giochi di prestigio, evitano di opporsi a quanto richiede loro il fisco. Semplicemente lo ignorano. E gli uffici delle tasse? Contraccambiano, non spedendo neanche una cartolina postale e quattro righe di sollecito a chi dovrebbe contribuire alla prosperità nazionale, a seconda del reddito. Mike Bird, su Business Insider Uk, la racconta papale papale. Insomma, perché pagare quando, di fronte alla voragine scavata dal debito, ci sono gli altri “fratelli” d’Europa (e d’Italia, ce l’abbiamo pure nell’inno) pronti a mettere le mani in tasca? A questo prezzo, “compare” Euclides Tsakalotos, lapis, squadretta e album da disegno in mano, può impostare tutti i teoremi che vuole: con i soldi degli altri, i triangoli, finalmente (sia gloria a Oxford), gli riusciranno tutti con tre lati. La situazione, che definire kafkiana sembra un volgare eufemismo, è stata indirettamente denunciata, in un saggio scientifico, da alcuni ricercatori (Nikolaos Artavanis, Adair Morse e Margarita Tsoutsoura), delle Università di Chicago, Berkeley e del Massachusetts. I tre hanno impiegato un “metro” semplice, ma efficace. Sono stati calcolati i prestiti e i mutui rilasciati dalle banche elleniche, facendo un’analisi comparativa con i redditi dichiarati. Bene, ci si è accorti che venivano concessi denari non sulla base degli importi “reali”, ma di quelli “presunti”. Insomma, se in banca portavi busta paga e dichiarazione dei redditi te le strappavano in faccia. Dovevi solo “concordare” e indirettamente dimostrare che i tuoi introiti (regolarmente evasi) erano molti di più. Così, libri-mastri in mano, è saltato fuori che alcune categorie di lavoratori greci (quelli autonomi) in teoria guadagnavano mensilmente meno di quanto versavano di soli interessi alle banche. Gli intermediari finanziari, i medici, i proprietari di hotel e ristoranti, i commercianti e gli operatori privati del settore trasporti, sono stati scovati e accusati di “evasione perenne”. Ma non è che altre categorie professionali (ingegneri, costruttori, avvocati) stessero tanto meglio. Nello studio si calcola che, nel solo 2010, almeno 30 miliardi di euro di redditi non siano stati dichiarati al fisco e che l’evasione si sia collocata intorno al 32% del deficit statale complessivo. Stiamo parlando dei denari occultati e non di quelli di cui sopra (“undisputed tax debts”), contestati solo in prima battuta e mai nuovamente richiesti dallo Stato. Ma quella è un’altra partita, avrebbe detto Totò a Peppino. Certo, vista la mala parata, Tsipras, con una mano, cerca di ritirare quello che offre con l’altra ai creditori. Cioè a tutti i gran figli di “trojka” (Commissione, Fondo Monetario e Banca Centrale Europea) che lo aspettano “ante portam” (del bagno). Uno dei settori più sensibili, che potrebbe rianimare il gettito fiscale ellenico, è quello delle tasse in agricoltura. Ma su questo punto, diventato un vero buco nero dell’economia ellenica, anche perché molti evasori ed elusori ci giocano, Tsipras non ha fatto il greco, ma l’indiano. Così il sistema fiscale agricolo, che è un vero scolapasta, continuerà chissà ancora per quanto tempo a pesare sulle casse dello Stato. Attualmente il settore, per motivi politico-clientelari, gode di un trattamento speciale, con una tassazione irrisoria (13%), rispetto all’aliquota generale media del 25%, che in Italia verrebbe vista come un regalo della Befana. E siccome il cuore dello Stato ellenico è proprio grande (come i suoi debiti), allora nel mazzo metteteci pure i massicci rimborsi per carburante e fertilizzanti. Una pacchia. L’austero Financial Times scrive, scandalizzato, che coloro che abitano nelle campagne greche sono tutti ufficialmente agricoltori, anche se fanno mille altri mestieri. Tanto, paga Pantalone (cioè, noi). Stiamo parlando di centinaia di migliaia di “contadini” (solo sulla carta, è ovvio), che subaffittano le loro terre e che hanno tempo e modo di fare un secondo lavoro (in nero). Insomma, ci si arrangia. Alla grande. Molti coltivano olive (come passatempo “ufficiale”), ma in realtà gestiscono agriturismi, pensioni e alberghetti a go-go senza pagare un centesimo di tasse. Adesso a Bruxelles, bruciati dall’ennesimo quasi-default greco, hanno aperto gli occhi e hanno chiesto che gli agricoltori paghino almeno un’aliquota del 25% (come gli altri) per il 2014 e versino anche un acconto per il 2015. Acconto? Apriti cielo! Una cosa che in Italia ci ritroviamo regolarmente (si fa per dire) sul groppone e che ci fa versare le tasse addirittura in anticipo, in Grecia viene vissuta come un affronto a cui rispondere con gli occhi di fuori. È questa la filosofia di fondo che ha fatto “vincere” (si fa per dire) il referendum a Tsipras sul piano “lacrime e sangue” di salvataggio. Chi ha ragione? Fatto sta che questo modo “europeo” di spremere i cittadini proprio non va giù ai greci e li ha messi tutti d’accordo: sinistra, destra, centro e i raggruppamenti politici di ogni colore, zompano come una mandria di bufali cafri in un negozio di cristallerie. Specie nelle zone più sensibili, dalla Macedonia, alla Tessaglia fino a Creta. Ora, senza voler dare giudizi sul passato regime di Bengodi (anche se sarebbe facile) resta il fatto che, tra annessi e connessi, per chi fa veramente l’agricoltore le tasse triplicano. Così quello che non è stato fatto in trent’anni, bisognerebbe farlo in tre mesi. E allora Tsipras, attraverso il suo viceministro per l’Agricoltura, Vangelis Apostolou, ha fatto sapere che la legge ad hoc forse verrà presentata a settembre. O forse a novembre. O, forse, aggiungiamo noi, mai. Farlo ora significherebbe alimentare le risse dentro Syriza, il partito di sinistra del premier; con botte da orbi che potrebbero far cadere il governo. Dall’altra parte c’è l’esigenza di «promettere, promettere, promettere» (ai creditori) per andare all’incasso degli aiuti finanziari in arrivo, indispensabili per ripagare Banca Centrale Europea, Fondo Monetario e il resto della compagnia. Sono 7 miliardi. Una goccia. Ce ne vorranno in totale almeno 86, nei prossimi anni, per evitare di abbassare le saracinesche. Basteranno? Visti i chiari di luna, pensiamo proprio di no.

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