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I russi arrivano
e gli Usa partono

                                                                                                 di Piero Orteca

In politica estera e, a maggior ragione, in guerra, contano i fatti, mentre le chiacchiere stanno a zero. Così, a cercare la “prova del nove” degli accordi criptici, sottoscritti ampiamente sottobanco da Stati Uniti e Russia per ciò che riguarda la crisi siro-irakena, basta solo guardare agli schieramenti aeronavali nell’area considerata. Ebbene, le ultime notizie dicono che gli americani fanno le valigie e che le truppe del Cremlino arrivano massicciamente, quasi a prenderne le consegne. In questi giorni, la portaerei dell’US Navy Theodore Roosevelt ha abbandonato il Golfo Persico, lasciando per la prima volta il Medio Oriente senza uno dei simboli della potenza americana. Nel frattempo, si sono intensificati i raid aerei russi sulla Siria e, udite udite, Putin è persino arrivato a scagliare contro ribelli (pare fossero quelli “giusti”, dell’Isis) due potenti salve di missili “cruise”, lanciati da navi che operano nel Mar Caspio. La mancanza sul teatro di guerra della “Roosevelt”, che imbarca 5 mila uomini e 65 tra caccia e bombardieri, testimonia di un avvicendamento con le forze russe. Il Pentagono si è affrettato a dichiarare che “gli strike Usa continueranno con gli F-16 in partenza dalle basi turche”. Una pezza che è peggio del buco, perchè, a quanto pare, le solite fonti “bene informate” (gli israeliani) dicono che laggiù sono rimasti solo… sei caccia di questo tipo, appartenenti a Washington. Cioè, praticamente, il fondo della casseruola. Ma gli americani si sono subito vendicati della notizia, che certifica la loro mezza ritirata, e hanno spifferato che il lancio dei missili da crociera russi sarebbe stato un fallimento. Fonti moscovite si sono affannate a smentire quanto detto: “Non è vero che quattro dei nostri “cruise” (i “Kaliber”, n.d.r.) siano caduti in Iran. Tutti i missili lanciati hanno raggiunto l’obiettivo”. No, non si tratta di un nuovo capitolo della Guerra fredda. Le schermaglie testimoniano lo spirito quasi canzonatorio con cui si guarda a queste vicende. In effetti, appena possibile, gli americani non perdono occasione per criticare i russi, affermando che la loro Marina colpisce a casaccio. E “amici” e nemici replicano per le rime. Come gli analisti di Gerusalemme che hanno rilanciato, testualmente, questa notizia: “ Il Pentagono ha deciso di chiudere, definitivamente, il programma di addestramento ed equipaggiamento rivolto ai ribelli anti-Assad e costato 500 milioni di dollari”. “Sarà rimpiazzato – dicono negli Stati Uniti – da un progetto meno ambizioso”. Anche perchè sottolineano gli israeliani, usando la penna come uno stiletto intinto nel curaro, “finora il programma ha prodotto, in tutto, quattro o cinque combattenti”. Sembra una barzelletta, ma non lo è. I numeri sono confermati. Ogni “nuovo ribelle” è costato ai contribuenti Usa l’astronomica cifra di 100 milioni di dollari; gli altri sono passati tutti dall’altro lato. E le armi? Probabilmente se l’è pappate in gran parte il “Califfo”. Capito, ora, perchè gli americani scappano e, dopo aver fatto finta di litigare, chiedono aiuto a compare Putin? Il quale deve pure lui rendersi conto che andare al cinema non è gratis. Bisogna pagare il biglietto. E Obama questo l’ha capito da un pezzo. Per cui, mollando onori, bandiere e medaglie ai russi, ma anche un paio di tonnellate di patate bollenti, ora aspetta, stravaccato coi piedi sulla sua scrivania della Casa Bianca, che anche Putin si ustioni le mani col Medio Oriente. Le premesse e i costi ci sono tutti, a meno che il Cremlino, il quale, quando fa le guerre non “soffre” certo di complessi, non decida di muoversi come un rullo compressore. Cioè, “ndo pijo pijo”, direbbero a Roma. Cosa che sta già facendo, avendo usato in una settimana la potenza di fuoco che forse Obama non ha impiegato in tutta la sua presidenza. Ma, come i nostri lettori sanno, la lite è sempre per la coperta e in questo enorme imbroglio targato Usa-Russia chi rischia di lasciarci le piume, spennata a dovere, è l’Europa. Se Obama e Putin si stanno dividendo il Medio Oriente in sfere d’influenza (commerciali, prima di tutto), gli europei rischiano di essere tagliati fuori dal “bottino”, cioè dalla grande spartizione energetica. Solo i fessi e gli attivisti “bolliti” possono pensare che gli Usa intervengano in Nord Africa o in Medio Oriente “per esportare la democrazia”. E solo gl’ingenui possono ritenere che Putin spenda miliardi di rubli per un imperialismo “ideologico” fine a se stesso, come al tempo di quando Berta filava e al Cremlino comandavano i comunisti. No, oggi contano altre “facezie”: petrolio, gas, materie prime, sicurezza e antiterrorismo. Il resto i nostri due eroi lo lasciano alla competenza dell’Esercito della salvezza. Certo, quando gli affari si costruiscono su queste basi, la truffa è sempre dietro l’angolo. I russi tendono a prendersi il dito con tutta la mano, mentre gli americani fanno finta di sgridarli, aspettando che s’inguaino al punto giusto. Obama cerca di coinvolgere nell’orrendo minestrone diplomatico anche la Nato, per dividere i costi e per “coprire” giuridicamente ogni eventuale intervento franco-inglese o di altre potenze regionali. E siccome non stiamo giocando coi soldatini è bene avvertire chi dovesse avere la tentazione di mettere il naso in quelle contrade, che le vendette sono sempre dietro l’angolo. Sotto forma di sanguinosi attentati, perchè qualche fondamentalista esaltato che ti porta le bombe a domicilio c’è sempre. Dunque, con un “effetto domino”, i vari conflitti regionali si sono saldati in una “macro-area di crisi”, dove non manca proprio nessuno, dato che sono arrivati persino i cinesi. Ora il gioco si è fatto più complicato. Ci sono le grandi potenze che si guardano negli occhi e che tirano la corda dal proprio lato, cercando di non spezzarla. Putin è come lo squalo bianco: sente il sangue a chilometri di distanza. Ha capito che gli americani nel Medio Oriente si sono persi, come nei mille vicoli di una kasbah, dove le strade si assomigliano tutte. Per questo è entrato pesantemente in campo, travestendosi da Ivanhoe, e dicendo di voler contribuire alla sicurezza globale. A fare la storia a ritroso si trovano sempre le tracce del delitto e le impronte digitali che portano all’assassino. Nel caso specifico, lo scompaginamento dell’ordine internazionale ha nomi e cognomi ben precisi. Il vero problema è che per trovare una via d’uscita, da ora in poi, ci vorrà un atto d’umiltà da parte di tutti. Ognuno dovrà rinunciare a uno spicchio della propria “grand strategy” e a una buona dose del proprio orgoglio nazionale.

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