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Jonathan Safran Foer, ogni storia è illuminata

Jonathan Safran Foer, ogni storia è illuminata

Ci sono pochi autori al mondo che possono permettersi di scatenare le attese dei lettori e il conto alla rovescia in attesa del loro nuovo libro. Con oltre sessantamila titoli pubblicati ogni anno – una cifra ormai fuori controllo – pochissimi autori possono permettersi di vivere l’attesa dell’uscita in libreria con una – relativa – serenità. Uno di questi è certamente il trentanovenne statunitense Jonathan Safran Foer.

Dopo essersi imposto con il folgorante “Ogni cosa è illuminata” (2002), da cui tre anni dopo fu tratto un film diretto da Liev Schreiber, e riconfermato con “Molto forte, incredibilmente vicino” (2005), è riuscito a scuotere le coscienze con “Se niente importa” (2009), parlando in prima persona del suo rapporto etico con il cibo, affrontando il tema con un approccio emotivo. E una grande scrittura. Dopo una lunga attesa, finalmente Safran Foer ha pubblicato il suo nuovo romanzo, “Eccomi”, scegliendo l’Italia per l’anteprima mondiale, «un omaggio a Guanda, il primo editore straniero che ha creduto in me sin dalla mia opera prima». “Eccomi” è un corposo romanzo (672 pagine, ottimamente tradotte da Irene Abigail Piccinini), un torrenziale flusso di scrittura in cui il lettore viene immerso nel rapporto di coppia di due ebrei americani quarantenni di Washington, Jacob e Julia, seguendone l’evoluzione dell’intesa e la nascita dei tre figli: Sam, Max e Benjy. Foer affida ai dialoghi la sua voce narrante, al punto di vista dei personaggi e al loro confrontarsi la dettagliata cronaca delle vicende. Da subito l’eros e la sessualità ovvero «la sintesi del rapporto vitale di ciascuno di noi» sono protagonisti della storia che non elude mai né i momenti felici né l’esacerbarsi delle tensioni. Attorno al Bar Mitzvah di Sam – il momento in cui si diventa uomini nella ritualità ebraica – si assiepano i dubbi sulla fede e sul significato di ogni cosa, mentre Jacob e Julia cercheranno, ciascuno nel proprio modo, una via di fuga dalla coppia e al tempo stesso una riconferma della propria fisicità, la necessità di sentirsi desiderabili ad occhi altrui. Ma non solo. Al piano personale e intimo Foer somma e sovrappone quello generale. Così, proprio mentre la coppia deve affrontare la crisi del rapporto, un devastante terremoto sconquassa il Medioriente, seminando morte e distruzione. Il risultato è uno sconvolgimento politico che riversa milioni di profughi contro le frontiere dello Stato di Israele in cerca di assistenza medica. Ma soprattutto, i paesi arabi colgono l’occasione per coalizzarsi e dichiarargli guerra in massa, decisi a cancellarlo dalla faccia della terra, in nome di un presunto desiderio divino. “Eccomi” è la risposta che Abramo diede a Dio quando gli chiese il sacrificio del figlio Isacco. Eccomi è la dichiarazione di totale sacrificio per amore altrui. Ma a quale prezzo?

In Italia per presentare il suo libro al Festivaletteratura di Mantova, Jonathan Safran Foer è stato intervistato dalla Gazzetta del Sud.

Mr. Foer, che cos’è per lei l’amore?

«Cos’è l’amore? Forse i più giovani sono portati a pensare che faccia perno sulla passione, ma non io. Io penso che il sentimento debba poggiare sulla reciproca comprensione, sulla capacità di mettersi da parte per l’altro. L’amore è un atto di devozione allo stato puro. Non saprei dirlo altrimenti».

Ogni unione per quanto basata su principi solidi, rischia di dissolversi, in perenne tensione con ciò che ci circonda, con le nostre debolezze?

«Quando ho iniziato a scrivere questa storia non sapevo dove sarei giunto. Non avevo intenzione di scrivere un vademecum sull’amore, ci sono troppe sfaccettature in questo sentimento. Ma ciò che contava era cogliere il silenzio condiviso che cala all’improvviso in una coppia. Volevo descriverne il senso, l’importanza, anche in una coppia affiatata. C’è una parte di noi che conserviamo al sicuro, che mettiamo al riparo dagli altri, persino dalla nostra stessa metà».

Inevitabilmente sui social si è scatenato il dibattito per decidere quanto ci sia di autobiografico in ciò che Lei scrive...

«Beh, ma l’atto stesso di scrivere ci deve mettere in contatto con la nostra intimità. Altrimenti che senso avrebbe? Il mio obiettivo è quello di parlare al lettore con sincerità, di coinvolgerlo dentro la storia al massimo delle mie facoltà».

Nel suo libro lei passa da un piano personale ad uno generale. Due catastrofi si scontrano, sommano e sovrappongono. La fine di una famiglia e la distruzione di Israele…

«Torniamo al titolo, al significato di “Eccomi”, alla disponibilità di sacrificarci in modo totale ed incondizionato ad una volontà altrui. Gli ebrei capiscono benissimo che bisogna essere coinvolti in ciò che ci circonda, tanto nelle questioni di famiglia che nelle questioni globali. Bisogna vivere immersi nel nostro tempo per riuscire a definire noi stessi».

Ha intenzione di vivere in Israele in futuro?

«Non credo. Il mio posto è in America. Le mie radici arrivano sino all’Europa dell’Est e da lì traggo l’umorismo e una visione del mondo. Ma la mia memoria personale è americana ed è ciò che mi definisce pienamente».

Cosa ne pensa di Donald Trump?

«Non penso che possa vincere le elezioni. Abbiamo un presidente di colore e potremmo eleggere una donna, sarebbe un passo indietro enorme se vincesse lui. Non sono affatto deluso da Obama, ma ho meno fiducia nel sistema politico, dalle lungaggini, dal clima generale che finisce per paralizzare un Paese».

Mr. Foer nel libro diversi personaggi aspirano alla felicità senza riuscire a raggiungerla. Cosa significa?

«Ricordiamo come eravamo felici in passato e ci auguriamo di esserlo nel prossimo futuro. A volte siamo felici solo immaginando una realtà alternativa. Molto difficilmente comprendiamo la felicità che possediamo. Siamo sempre concentrati su ciò che ci manca ma non su ciò che già abbiamo. La felicità è anche una questione di prospettiva».

A proposito, la virtualità è molto presente nel suo libro, dalle chat ai social network. La considera una via di fuga, un problema o un’opportunità?

«Non avevamo bisogno del mondo virtuale. Dieci anni fa non c’era e abbiamo vissuto serenamente. Ci sono certamente degli elementi positivi e altri decisamente preoccupanti. Sia Jacob che Sam dimostrano che con la virtualità possiamo vivere dietro un velo, senza essere mai davvero presenti. Non è solo una distrazione, ma qualcosa che diminuisce davvero la nostra capacità di interagire con gli altri e ci rende un po’ incorporei, un po’ astratti, un po’ nascosti».

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Il libro

Tra le cosepiccolee grandi

A Washington vivono i quarantenni Jacob e Julia, coi loro tre figli. Mentre la famiglia vive il Bar Mitzvah di uno dei tre ragazzi, Sam, per il quale arrivano da Israele alcuni parenti, accade un fatto dirompente in Medio Oriente, dove un devastante terremoto fa riversare milioni di profughi in Israele, e induce i vicini paesi arabi a un’invasione. Ecco che la Storia incrocia la storia: l’epocale interpella il quotidiano, lo sovverte, lo modifica. Le piccole cose di cui è fatta la vita si confrontano con le “grandi”. E non sono meno importanti.

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