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Mosul, la Stalingrado
del Califfo

Mosul, la Stalingrado del Califfo

Chi, abbastanza ingenuamente, pensava che dopo l’attacco a Mosul i miliziani dell’Isis scappassero a gambe levate, deve ricredersi. Gli uomini del Califfo combattono con la consueta ferocia e, sentendosi come gatti selvatici in gabbia, hanno già cominciato la lunga litania dei massacri. Fonti dei servizi segreti iracheni hanno rivelato alla CNN che l’Isis ha giustiziato negli ultimi giorni quasi 300 civili nelle zone di guerra, diversi dei quali erano bambini. Gli alleati avanzano a tenaglia, da sud e da nord-est e stanno cercando di chiudere le truppe del Califfato in una sacca, mentre questi ultimi si difendono come bestie feroci, ricorrendo anche a esecuzioni di massa. La loro tattica ricorda molto da vicino quella delle Waffen SS tedesche nella seconda guerra mondiale, che alternavano furiosi combattimenti a sanguinarie rappresaglie. Sul campo, la situazione è confusa. Gli uomini della Nona Divisione di Baghdad stanno cercando di penetrare ad Hamdaniyah, mentre i miliziani jihadisti la buttano in guerriglia, stile Stalingrado. La bandiera irakena sventola sulle chiese nei sobborghi di Mosul, ma è difficile dire quando la città potrà dirsi “conquistata” dato che si lotta casa per casa. Nei combattimenti urbani, infatti, il numero conta fino a un certo punto e un solo nido di mitragliatrici può riuscire a bloccare un’intera compagnia. Ogni metro che porta a Mosul è zeppo di trappole esplosive, camion-bomba e mine anti-uomo. E il paragone con Stalingrado non è peregrino. L’Isis non si difende a casaccio, ma pianifica in modo coordinato le sue mosse, riuscendo anche a contrattaccare. In questa fase, per scaricare la pressione su Mosul, i jihadisti, quasi con una diversione a “U”, hanno attaccato pesantemente Kirkuk, a 175 chilometri di distanza, minacciando indirettamente la stessa Irbil, sede del governo curdo-irakeno. La mossa ha messo in ambasce il comando interforze degli alleati, che in un primo momento avrebbe voluto rispondere, rischierando 11 mila peshmerga curdi. Non se n’è fatto niente, perché queste truppe sono ritenute indispensabili per il fronte di Mosul. Ergo: se due più due fanno quattro, l’offensiva principale guidata dagli americani è ancora in fase di stallo. I progressi ci sono, ma sono lenti e le vittime aumentano in maniera esponenziale. La mossa dell’Isis contro Kirkuk dimostra come il sistema di intelligence militare Usa funzioni male o, comunque, non copra efficacemente tutto il territorio per coordinare lo spostamento delle truppe. Le milizie del Califfo si sono raggruppate ad Hawja, 57 chilometri a est di Kirkuk, senza che nessuno se ne accorgesse. Hanno atteso che il grosso delle forze curde abbandonasse la città per unirsi all’offensiva contro Mosul, per agire indisturbate. E ora hanno aperto il secondo fronte, portando la loro minaccia nel cuore del Kurdistan irakeno e annunciando di aver preso il controllo di gran parte di Kirkuk. Tutto questo proprio mentre la coalizione anti-Califfo ammette che l’offensiva contro Mosul avanza con fatica e, anzi, sarebbe stata bloccata a 15 chilometri da Mosul, nonostante gli alleati schierino, nuovi e fiammanti, i poderosi carri Usa Abrahams. La cui velocità, dicono i maligni, sarebbe stata decisiva. Per ritirarsi. Ma altri corposi ostacoli rischiano di far saltare le linee-guida di un’offensiva preparata da un anno e che, evidentemente, diventa complicato coordinare vista la “diversità” (diciamo così) degli alleati. Si è saputo che gli americani hanno dovuto letteralmente bloccare i reggimenti del PKK curdo che volevano partecipare alla battaglia. Il Presidente turco Erdogan, tanto per parlare dell’ennesimo intoppo, infatti, aveva minacciato di attaccarli se solo si fossero avvicinati a Mosul. Dal canto suo, il primo ministro irakeno Haidar al-Abadi, ha ufficialmente fatto la conta delle truppe che sono “ufficialmente” in guerra contro il Califfo: artiglieria campale e Genio militare degli Stati Uniti, divisioni corazzate dell’esercito governativo irakeno e unità antiterrorismo della Polizia di Baghdad e, infine, i peshmerga curdi. Punto. Nemmeno una virgola sugli sciiti di “pedigree” iraniano, che pure hanno un ruolo di prima linea. Tutto ciò sottintende che entreranno a Mosul solo truppe di etnia irakena. E religione sunnita, aggiungiamo noi. Bisognerà ora vedere come reagiranno le agguerritissime formazioni sciite sostenute da Teheran. Infatti, Obama dietro le quinte può cantare la litania che vuole, per cercare di accontentare tutti, ma è pur vero che nelle passate offensive che hanno portato alla conquista delle città sunnite della fascia centrale irakena, il vero lavoro “sporco” l’hanno fatto proprio gli sciiti.

Come a Ramadi, Tikrit, Falluja e Baiji, dove la parte del leone l’hanno fatta, incontestabilmente, le Brigate Bader e le Popular Mobilization Units, coordinate dall’ormai leggendario comandante iraniano sul fronte siro-irakeno, il generale Qassem Soleimani. E non è un caso che, proprio durante quelle offensive, la copertura aerea fu fornita quotidianamente e con grande dispiego di mezzi, proprio dall’US Air Force. Ora, non sappiamo fino a che punto gli avvertimenti della Casa Bianca, lanciati urbi et orbi, potranno essere fatti osservare. Gli analisti segnalano, infatti, che poderose forze sciite sostenute dagli iraniani, si stanno ammassando a nord-est di Mosul. Forse in attesa di entrare nella mischia quando la maggior parte della battaglia potrebbe essere già decisa in favore della coalizione. Anche la Turchia è letteralmente infoiata dalle prospettive aperte dall’offensiva contro Mosul, specie per i suoi disegni anti-curdi di lungo periodo. Per questo, nonostante le proteste di Obama (“Ecchissenefrega”, avrenbe sibilato Erdogan”) una cospicua task force di Ankara è presente in Irak, pronta a intervenire per spartirsi le spoglie del Califfo. Anche Erdogn era in vena di ultimatum e ha già fatto sapere agli americani che se i peshmerga entreranno a Mosul, lo faranno anche le truppe turche, Erdogan vuole anche impedire che le milizie siro-curde del YPG possano arrivare a riunirsi con quelle del PKK, formando un temibile esercito curdo con un unico comando. Ankara ha già detto che i suoi aerei appoggeranno le azioni in partenza dal quartiere turcomanno di Mosul. Secondo gli analisti, insomma, in questa fase combattono contro il Califfo ben sei eserciti. Più divisi che mai. E nessuno può escludere che, risolta la pratica dell’Isis, non comincino a spararsi tra di loro.

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