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Rigidità no, ma nemmeno superficialità

Rigidità no, ma nemmeno superficialità

Il rigore nella gestione del debito pubblico non è mai piaciuto ai nostri governanti. Tanto è vero che l’esposizione dello Stato verso i propri creditori, salvo brevi e rare pause, è cresciuta costantemente fino a raggiungere gli attuali livelli di guardia: siamo un Paese a un passo dal fallimento. Nonostante l’evidenza dei numeri il principale “antidoto” che si immagina – ricetta della Banca centrale europea – è l’aumento dell’inflazione. Che strano ragionamento! Si punta a sforbiciare il potere d’acquisto degli italiani per fare scendere, ma solo apparentemente, il valore di quanto dobbiamo restituire a chi ci ha prestato soldi. Si punta cioè ad alterare il rapporto debito - Prodotto interno lordo: un’operazione di facciata, che non può essere presa sul serio.

Al contempo si spera nella ripresa economica, che dovrebbe generare maggiori introiti per le casse dello Stato, ovvero più tasse, per far fronte al pagamento di Bot, Btp e quanto altro. Una montagna di titoli che, continuando di questo passo, potrebbe diventare carta straccia da un momento all’altro.

Pessimismo? No, i conti si fanno con la calcolatrice e non possono essere interpretati. Valgono per quello che “raccontano”. L’Ue, su troppe cose una sorta di grillo parlante rompiscatole, in questo caso ha più di una ragione per chiedere una correzione del disavanzo. È stata sprecata l’occasione dei bassi tassi di interesse sul debito pubblico, utilizzando in maniera approssimativa i risparmi e senza mettere fieno in cascina. Non si è, insomma, sfruttata l’opportunità della politica monetaria espansiva della Bce e i nodi sono venuti al pettine.

Quale è stata la risposta del Governo Gentiloni alla richiesta di correzione del deficit? Vedremo, valuteremo! In ogni caso, ha sottolineato il presidente del Consiglio ieri in missione a Berlino, l’austerità è finita. Noi italiani, a volte, preferiamo girare attorno ai problemi: affrontarli può far diventare impopolari! Presto o tardi, tuttavia, saranno i mercati a insegnarci a ragionare e vivere da persone mature. Così, dopo aver consentito ogni genere di incursioni alle multinazionali, soprattutto francesi, per onorare i nostri gravosi impegni, potremmo essere costretti a vendere l’argenteria di famiglia, magari mettendo all’asta le opere d’arte degli Uffizi o di Brera.

Ormai non si può più scherzare: o si taglia la spesa pubblica, in buona parte improduttiva, o si muore. Altre tasse per attenuare il rosso stroncherebbero la tenue ripresa economica e gli investimenti produttivi, sotto tono da qualche decennio.

E a proposito di deficit, va ricordato che salirà di almeno 20 miliardi di euro per consentire la ricapitalizzazione del Monte dei Paschi. Alla fine, epilogo usuale, pagheremo tutti noi. Gradiremmo almeno sapere i nomi di chi ha provocato il disastro: manager, autorità di vigilanza e grandi debitori.

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