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Federica quando uccise la madre non era in sè

Una 22enne uccide la madre malata

Federica Manica, quando uccise la madre, non era capace di intendere e di volere e per questo non era era e non è imputabile. Lo hanno scritto nero su bianco, la psichiatra incaricata dall’autorità giudiziaria e lo stesso Pm che ha chiesto ed ottenuto dal gip, l’archiviazione del procedimento nel confronti della 23enne che il 6 ottobre dello scorso anno ha soffocato con un sacchetto di plastica, fino ad ucciderla la madre 48enne: Giovanna Salerno. La perizia redatta dalla Consulente tecnica della Procura, la dottoressa Maria Chiarelli, ha stabilito infatti che Federica al momento dei fatti «si trovava per infermità in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere». Una tesi fatta propria dal sostituto procuratore Luisiana Di Vittorio, titolare dell’indagine sul delitto, ma fin da subito sostenuta dagli avvocati Concetta Cirillo e Antonio De Cicco che hanno assistito la ragazza, arrestata dopo l’omicidio e poi su disposizione del gip, ricoverata (ai domiciliari) in una struttura sanitaria in grado di assisterla anche dal punto di vista psicologico. Il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Crotone Michele Ciociola oltre a disporre l’archiviazione del procedimento, ha anche revocato la misura cautelare, anche se la giovane donna per il momento rimane nella Residenza sanitaria dove ha trascorso gli ultimi cinque mesi.Il provvedimento del gip mette la parola fine ad una tragica e triste vicenda che aveva destato scalpore e dolore in tutta la città. Il matricidio di cui Federica era accusata venne consumato nel primo pomeriggio di giovedì 6 ottobre 2016, nell’abitazione di famiglia dei Manica, in via Caccuri a Poggio Pudano, dove la 23enne viveva insieme alla madre Giovanna Salerno e al papà Andrea di 54 anni. Fu proprio quest’ultimo al suo rientro a casa dal lavoro poco dopo le 15, di quel giorno di ottobre, a scoprire la tragedia. «Papà ho ucciso mamma», riferì sconvolta e agitata la figlia al padre che aveva appena piede in casa. L’uomo si precipitò in camera da letto e trovò la consorte, Giovanna Salerno, supina sul letto matrimoniale e già cadavere. Accanto al corpo, un sacchetto di plastica azzurro, utilizzato per soffocare la donna come ricostruirono poi i carabinieri intervenuti nell’abitazione della famiglia Manica, appena ricevuta la segnalazione. Sul posto accorsero anche il comandante della Compagnia, il capitano Claudio Martino e il colonnello Salvatore Gagliano comandante provinciale.

Gli investigatori coordinati dal sostituto procuratore Luisiana Di Vittorio, sentito il padre di Federica, ebbero subito sentore di essere davanti a una tragedia maturata all’ombra della depressione. Uno stato di disagio mentale che avrebbe accomunato madre e figlia in un vortice oscuro che in pochi mesi, travolse una famiglia normale e tranquilla. Il pm Di Vittorio chiese allora al gip la custodia in carcere per la ragazza e in subordine la detenzione “domiciliari” in una struttura protetta. Gli avvocati Cirillo e De Cicco sottolinearono da parte loro l’incompatibilità della detenzione in carcere con le condizioni psicologiche della loro assistita. Il giudice decise per la struttura protetta, in attesa della perizia psichiatrica che ha confermato l’ipotesi all’epoca sostenuta dai difensori e poi fatta propria dal pm: quel maledetto e tragico giorno di ottobre Federica, non sapeva quel che faceva: aveva la mente ottenebrata da quel “male oscuro” che ti annulla la ragione e il sentimento.

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