L e infrastrutture strumento per rianimare l’economia? In Cina ci credono, a tal punto da avere convinto pure il nostro presidente del Consiglio. Tanto entusiasta che ha garantito, in occasione della sua “due giorni” a Pechino, un’Italia protagonista nel progetto finalizzato a “unire” Asia ed Europa. E non solo. «Credo che la mia presenza in questa occasione abbia il significato di sottolineare quanto sia importante, anche per noi italiani, collegare il Mar Cinese e il Mediterraneo, l’Europa e l’Asia», ha affermato Gentiloni. Grande enfasi nell’immaginare le ricadute economiche per l’Italia: ci sono infrastrutture da realizzare assieme ai Paesi attraversati dalla nuova “Via della Seta terrestre” e, al contempo, grandi opportunità per i nostri porti, indispensabili a rendere operativa la “Via della Seta Marittima”. Al presidente del Consiglio non è sfuggita l’importanza del Mediterraneo per il successo dell’iniziativa cinese, tra l’altro alla luce del recente raddoppio del Canale di Suez, e conseguentemente della nostra logistica portuale. «Servono porti che colleghino rapidamente l’Europa via mare. Noi abbiamo un’offerta fortissima che viene, anzitutto, da Trieste e Genova». Non c’è altro? È necessario ricordare che la Sicilia è un hub naturale che può intercettare miliardi di euro di traffici marittimi, che lo scalo di Gioia Tauro è propedeutico a qualunque progetto di rinascita della Calabria? È tempo di riparlare, seriamente e una volta per tutte, di collegamento stabile col Continente, di alta velocità ferroviaria, di reti autostradali, di portualità, di intermodalità. Il rilancio del Sud, dopo anni di distruttivo immobilismo, è la Via della Seta tricolore. L’ottimismo di facciata e le belle parole non faranno scomparire 2.240 miliardi di debito pubblico, non tonificheranno la crescita del Pil (ancora a livello di decimali), non creeranno occupazione e non metteranno all’angolo gli speculatori. Questi ultimi aspettano, per guadagnare miliardi a danno dei risparmiatori, che la Bce tolga l’ombrello a protezione dei titoli di Stato. È ora di svegliarsi, se non vogliamo diventare sempre più insignificanti. Non nel mondo, si badi bene, ma nella “piccola” Europa
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