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L'algoritmo siamo noi, i lavoratori dell'informazione

L'algoritmo siamo noi, i lavoratori dell'informazione

Che strano, trovarsi dall’altra parte. Essere, per una volta, la notizia. Quando nel teatro Vittorio Emanuele stracolmo, ieri, hanno cominciato a scorrere le immagini del video girato da Fabio Schifilliti, giovane regista messinese già con un curriculum di lavori e premi internazionali, ci siamo riconosciuti, noi che di questa operazione così in controtendenza, così ardita e che spariglia certezze e timori, siamo i più coinvolti e i primi a essere investiti. Noi, i lavoratori.
Franco, Anna, Daniela, Nuccio. Arcangelo, Vinicio, Maurizio, Mariella. Francesco, Lucio, Saro, Santino, Tito, Gisella. Apparsi per qualche istante, nel ritmo del racconto filmato, dove si sovrappongono le immagini dello Stretto di notte, con le coste illuminate che sembrano toccarsi, e le luci delle redazioni, a Messina come a Palermo, e tutto quel lavoro collettivo e corale, quel picchiare sui tasti, quell’allineare parole sui monitor, sui fogli, e poi lanciarle nei vortici del web, nell’etere, nel ruggito meccanico della rotativa.
Ieri, in teatro, eravamo seduti accanto a quelli che intervistiamo, che seguiamo, il cui operato analizziamo e commentiamo ogni giorno: politici e amministratori, imprenditori e funzionari pubblici. Insieme, per una volta dall’altra parte anche noi, abbiamo guardato sullo schermo – e poi ascoltato dalla viva voce dei protagonisti, e infine nella sintesi generosa del presidente del Consiglio Gentiloni – questa storia enorme che ci riguarda, che cambierà tante coordinate di quello che facciamo. Abbiamo sentito le parole «qualità», «dialogo», «credibilità». Abbiamo sorriso, perché sono le buone ossessioni di chiunque faccia con onestà il nostro mestiere. Abbiamo visto una volta di più – nelle immagini belle ma senza alcun “effetto cartolina”, senza la retorica della bellezza “balneare” del Sud – l’incredibile estensione del nostro nuovo territorio, dalle saline di Trapani alla punta del ponte Calatrava di Cosenza che sembra una sfida, di tiranti e ingegno e bellezza, a qualsiasi futuro, a qualsiasi paura.
«Non volevo solo la bellezza, volevo la metafora della bellezza» dice Schifilliti, un siciliano entusiasta della Sicilia come set dell’anima e che ha scoperto, girando (per undici giorni), un’altra fonte di meraviglia: la Calabria. Ha avuto il nostro stesso, quotidiano dilemma: raccontare la bellezza senza tacere tutto il resto, «spingere su quei colori» (che Calabria e Sicilia sono terre di contrasti, luce e lutto) senza sfiorare la retorica.
Sapere cosa e chi si è e si è stati, ma guardare oltre e lontano (che è stato lo slogan di quest’operazione e della giornata di ieri). Restare, ma non rinserrarsi. Custodire il fuoco, ma non adorare le ceneri. Noi, lavoratori di un settore che da anni vive trasformazioni epocali e drammatiche, noi che non vogliamo una sfida per sopravvivere, ma una sfida per dare un senso al sopravvivere.
Nei discorsi di ieri è tornata tante volte la parola «algoritmo»: la modalità meccanica, oscura, computazionale con cui oggi si muovono i flussi d’informazione, la circolazione sanguigna dei social e delle nuove arene digitali. Ecco, noi – ora parti di questo grande gruppo, soggetti di questa sfida e di questo esperimento coraggioso – siamo, vorremmo essere l’alternativa: l’algoritmo umano.

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