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Prigionieri d’una logica duale

Prigionieri d’una logica duale

Tutti i colori del bianco e del nero. Così recitava negli anni Ottanta una pubblicità della Ilford, storica azienda britannica che da centoquarant’anni produce materiali fotografici. Bisognava tranquillizzare i più dubbiosi tra gli acquirenti promettendo l’insperabile: le loro fotografie in bianco e nero, su carta Galerie, avrebbero vantato grigi così tanto ricchi da potersi misurare con i colori veri. I grigi, in un’era già drogata di immagini «finalmente» a colori, s’erano fatti più competitivi per reggere il passo della modernità. Poteva essere salvaguardato quell’effetto di realtà che i colori davano ben più della vecchia foto in bianco e nero.

Una straordinaria risorsa, i grigi. Mostrano, più che l’immediatamente visibile, la ricchezza delle sfumature. Nei grigi vive la pluralità del mondo.

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Che cos’è una «figura terza»? Che cosa può voler dire essere «neutrale»?

È ovvio che Di Maio e Salvini fatichino non poco a individuare un possibile premier “terzo” che garantisca entrambi. Certo, alla fine lo troveranno, ma non è questo il punto. È con il concetto di “terzo” che i due mostrano d’avere poca confidenza, abituati come sono alla logica duale del bianco e del nero. Qualsiasi grigio è vissuto, anche da una larga parte delle loro basi elettorali, come uno sconveniente compromesso. Qualsiasi “terzo” è, di fatto, un impostore. Sempre.

Terzietà e neutralità non esistono. “Convincimenti” ripetuti da Salvini e Di Maio – gridando al «tradimento degli elettori» – quando il Presidente Mattarella, per superare lo stallo, lunedì scorso ha provato ad avviare la macchina per arrivare a un governo istituzionale.

È ovvio che la neutralità, in natura, nell’umana natura che si sostanzia in idee, passioni, intuizioni, talvolta in errori, non può esistere. Ma in quel grigio può manifestarsi una delle nostre risorse più grandi, la capacità – di taluni di noi – di sapersi collocare super partes. Arbitri onesti. Ed è proprio nello spazio neutrale che avviene la mediazione, cioè vive la Politica.

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Quindi: liberi d’essere trasformisti gli ex padani secessionisti ora ultranazionalisti; liberi di dire tutto e – ventiquattr’ore dopo – il contrario di tutto i pentastellati (a furia di “rimodellare” la loro posizione sull’Europa stanno disorientando pure gli osservatori più tenaci). Libero Salvini di pontificare sull’unità del centrodestra mentre a stento – di qui a poco – se ne riconosceranno i cocci. Libero, Di Maio, di passare dal bianco al nero e/o dal nero al bianco, purché non baleni l’ombra di un grigio. Trattare con la Lega e con il Pd allo stesso tempo è normale; invece è difficile trovare una “figura terza” che dia sicurezza a due forze politiche che pure, dal momento che stanno formando un governo, non dovrebbero avere difficoltà a sintonizzarsi. Solo per il fatto d’aver pensato a una staffetta, Di Maio e Salvini hanno dimostrato di non essere granché capaci d’uscire da se stessi. E la “simmetria”, esteticamente perfetta, di Interni ed Esteri, i ministeri che i due si sarebbero riservati, appare un po’ il paradigma della logica duale. Ognuno corre sull’altro: vietato sbagliare un colpo, il popolo cinquestelle e quello leghista metteranno tutto sul bilancino.

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Ha ragione, Mattarella. Ci si deve sottrarre a quella «narrativa sovranista pronta a proporre soluzioni seducenti quanto inattuabili». Non è certo il nazionalismo l’antidoto per opporsi allo smarrimento innanzi alla globalizzazione, né l’utopia d’una “democrazia diretta”. Bisogna tornare alla Politica, ricreandone – muovendo dai grandi temi e ribellandosi all’egemonia tecnocratica – l’effetto di realtà.

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