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Divergenze parallele

Divergenze parallele

«Siamo ai punti e alle virgole». La frase, pronunciata domenica pomeriggio a proposito delle «limature al contratto di governo», è del capogruppo leghista al Senato Gian Marco Centinaio. Frase clamorosamente smentita ieri da Matteo Salvini dopo l’incontro con il Presidente Mattarella. Su argomenti scottanti – giustizia, Europa, immigrazione, sicurezza, infrastrutture – persistono divergenze più o meno marcate tra la Lega e il M5S. Altro che virgole, bisogna scrivere ancora una buona metà del tema in classe. Ed è per questo, stando a quanto raccontano il leader del Carroccio e «il candidato premier» dei Cinquestelle, che è stato chiesto altro tempo al Quirinale.

La sensazione però, a dire il vero, è che a Di Maio, più che «scrivere la Storia» – parole tronfie e sue –, continui a interessare soprattutto la carica di premier. Anche per la difficoltà a individuare un “nome terzo”. Difficoltà prevedibile – come da noi rimarcato venerdì scorso – visti i giocatori. Non foss’altro che per motivi... genealogici: i partiti “contro” – spiegavamo per confortare la nostra tesi – hanno tout court poca dimestichezza persino con il semplice concetto di neutralità. Né è facile abbandonare da un giorno all’altro lo “stile” gridato, l’unico cui M5S e Lega hanno abituato le loro basi elettorali, chi sulle piattaforme web, chi nei gazebo. La “necessità” d’un “nome terzo” è la cosa più difficile da spiegare ai seguaci dei due schieramenti che hanno vinto le elezioni: ne va della stessa riconoscibilità dei vertici. Ma mentre Salvini, a fronte dell’ostinato Di Maio che insiste a voler fare il premier, non esita – questa è l’idea che, virgola più virgola meno, ci siam fatti – a rimettere in discussione i passi in avanti compiuti su temi di primo piano e a sbandierare lo spauracchio del voto, e ciò serve a rassicurare la base leghista, il capo dei Cinquestelle nuota in acque ben più agitate: in caso di ritorno alle urne la più avvantaggiata sarebbe la coalizione di centrodestra. Più che mai, quindi, la faccenda del “nome terzo” è un ostacolo che deve apparire, a Di Maio, insormontabile.

Come raccontare al mondo intero, e questo vale anche per Salvini, che il presidente del Consiglio sarà uno che finora non ha messo becco nel programma? La preoccupazione lessicale ripetuta come un mantra dai due leader – non sarà un «tecnico» ma un premier «politico» – è fumo negli occhi. Peggio, che un «tecnico»: finora, vista l’impostazione, sarà tutt’al più un esecutore. Senz’anima né pensieri, messo lì da due giocatori incapaci di arrivare a un accordo vero su un “nome terzo”. Un premier, tutt’altro che politico, chiamato ad avallare un programma già fatto. D’altra parte l’«antipolitica» (espressione-manifesto, sebbene svilita dal troppo uso), ora sorprendentemente interessata alla «politica», che altro potrebbe partorire?

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