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I libri di Jakub, viaggio e storia nel romanzo della scrittrice polacca premio Nobel Olga Tokarczuk

La vita di un ebreo realmente esistito, autoproclamatosi messia, s’intreccia con vicende settecentesche nel territorio della Podolia

Oggi arriva finalmente sugli scaffali italiani “I libri di Jakub” (Bompiani, nella traduzione di Barbara Delfino e Ludmila Ryba), l’epico viaggio narrato nell’arco di 1120 pagine, composto da un susseguirsi di personaggi minori fra religioni ed eresie, popoli migranti e i semi della xenofobia, amori e vite narrate in pieno Settecento, attraverso il punto di vista di Yente, una donna anziana che osserva e vede letteralmente tutta la storia, testimoniando ogni cosa a cavallo del tempo dal proprio giaciglio.

Scritto nel 2014, i lettori italiani adesso potranno leggere il romanzo più ambizioso del premio Nobel per la Letteratura 2018, la scrittrice polacca Olga Tokarczuk che domenica 10 settembre sarà grande protagonista al Festivaletteratura di Mantova.

Fra i suoi romanzi – ricordiamo “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti”, “Casa di giorno, casa di notte” e “Nella quiete del tempo” - è certamente “I vagabondi” (vincitore dell'International Man Booker Prize 2018) l’opera più nota, la gemma del pensiero multiculturale di una scrittrice visionaria, magnifica e surreale, una voce eclettica e potente che si distingue per una prosa che sconfina nel mistico e nel surreale, predicando il superamento di qualsivoglia frontiera geografica e soprattutto, inneggiando alla libertà di pensiero.

Un’idea che affiora con forza, pagina dopo pagina, in questa lunghissima cavalcata ambientata in pieno Settecento nei territori della Podolia (una regione storico-geografica che oggi si troverebbe fra l’Ucraina e la Moldavia nord-orientale), firmando un romanzo storico documentato con estrema cura che si legge con grande piacere, anche grazie alla capacità dell’autrice di muovere la scena lungo tutta l’Europa centrale. Numerato a ritroso in omaggio alla tradizione ebraica, il Jakub cui rimanda il titolo non è il celeberrimo Giacobbe delle Sacre Scritture – benché il libro sia pieno di rimandi biblici – ma Jakub Frank, un giovane ebreo realmente esistito, un avventuriero e un maniscalco di origini oscure, autoproclamatosi messia ovvero la reincarnazione di Sabbatai Zevi. Jacub Frank, l’uomo che nella Podolia del Settecento diede vita a un’eresia – il “frankismo” - con largo seguito ed evidenti rimandi alla tradizione cristiane e islamiche sebbene spingesse, anzi, obbligasse i suoi seguaci a trasgredire il maggior numero possibile di limiti morali.

Uno degli spunti da cui parte Tokarczuk è l’impresa eccezionale di voler scrivere “l’enciclopedia definitiva”, peccato che padre Chmielowski non conosca l’ebraico e ciò lo porta alla corte del rabbi Elisha Shorr e da lì si avvia una girandola di storie e personaggi, finché fra le pagine entrerà anche la storia di Jakub – l’Eletto – colui che ammalia il popolo e la cui corte di accoliti cresce pericolosamente. E tutto ciò viene narrato con la particolare prospettiva di Yente, un’anziana donna le cui visioni dal proprio giaciglio, lì dov’è in attesa della fine, le permettono di vedere «ogni cosa dall’alto». In un’epoca di personaggi seriali e libri in fotocopia, forse la mole di questo libro potrebbe destabilizzare, tuttavia, uno dei punti di forza del romanzo è proprio quello di averne fatto un turn-page che si divora grazie al susseguirsi di personaggi minori ovvero mercanti, rabbini, promesse spose, medici e scribacchini che si alternano nei capitoli brevi e sempre ben ritmati, mescolando citazioni colte, documenti, dialoghi e strofe di lettere d’amore, considerazioni sull’antisemitismo strisciante, dispute teologiche, parabole dalle Scritture e storielle in pieno spirito yiddish.

Tokarczuk – premiata con il Nobel «per un'immaginazione narrativa che, con passione enciclopedica, rappresenta l'attraversamento dei confini come forma di vita» - stupisce perché capace di creare una mescolanza di voci e colori che ammalia il lettore e come nulla fosse lo sospinge sino all’ultima pagina. E così facendo la romanziera polacca disegna un mondo, spalanca una finestra nel tempo, mostrando l’applicazione sulla pagina della celebre leggerezza teorizzata da Italo Calvino.

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