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Un sopravvissuto dei kibbutz: "Mio figlio sepolto nel giardino per salvarsi. Ma non odio i palestinesi"

«Ero felice, avevo tutto. Ora non resta niente. Non odio i palestinesi. Non so come mi sento, sto vivendo alla giornata. Ti sto raccontando la mia storia intima, spero che tu capisca», dice all’Ansa Benyamin Hason, 66 anni, sopravvissuto del kibbutz Kissufim, a 800 metri da Gaza, dove il 7 ottobre sono stati trucidati 12 israeliani e sei lavoratori thailandesi mentre un ottantenne è stato portato nella Striscia. «Mio figlio ha 32 anni, era andato a una festa. Quando ha visto i primi messaggi è andato in giardino, ha scavato una fossa e si è seppellito là sotto con un piccolo tubo per respirare. Ci è rimasto sei ore, fino a quando il fratello dall’estero lo ha geolocalizzato e ha mandato la posizione all’esercito. Otto ragazzi che erano con lui sono stati uccisi».

Benny descrive straniato gli avvenimenti, come se non li avesse vissuti. «Alle 6.30 del mattino abbiamo sentito le sirene, la chat del kibbutz ci ha avvisato che i terroristi erano dentro. Stesso messaggio ai thailandesi nella loro lingua. Ho due rifugi che si chiudono da dentro. Gli operai per sbaglio mi avevano portato porte blindate, che ci hanno salvato. I miliziani hanno rotto le finestre e tirato dentro molte granate, nessuna è esplosa», ricorda bevendo il suo caffè in un bar di Ramat Gan, sobborgo di Tel Aviv. In quel mentre una donna si ferma ad ascoltare, si avvicina: il fratello è stato ucciso in strada a Sderot dai jihadisti arrivati sui pick-up. Benny conosce la famiglia, si stringono forte. «Io, mia moglie e il cane ci siamo chiusi in uno dei nostri due rifugi. Ho chiamato i thailandesi, alcuni non rispondevano più. All’improvviso ho sentito un boato sul tetto, avevano lanciato un razzo. Ho sentito uno dei miliziani che si preparava a far esplodere le bombole del gas che stanno fuori per la cucina. Gli uomini della sicurezza interna sono riusciti ad ucciderlo».

Benyamin ha origini libiche, parla arabo, il padre era fuggito da Tripoli nel 1939 per sottrarsi agli italiani di Mussolini. «Alle 4 del mattino del giorno successivo, 22 ore dopo, abbiamo sentito bussare alla porta del rifugio: 'Siamo dell’esercitò. Io gli ho detto 'finisci la frase che ti dico ascolta Israelè. E lui ha risposto 'Dio è il nostro signore. Dio è unò. Ho aperto. Erano le 4.15 del mattino». Nel giardino Benny ha visto i cadaveri di 7 o 8 terroristi. Ha evitato un nuovo assalto con le mitragliatrici e esplosioni. Finalmente ha potuto raggiungere la sua macchina e dirigersi verso il kibbutz Urim, a pochi minuti, dove l’avevano indirizzato i militari. «Per strada c'erano solo cadaveri e macchine bruciate, siamo passati evitando i corpi», va indietro con la memoria. Tre giorni dopo gruppi di terroristi sono stati trovati nel kibbutz, avevano giubbetti esplosivi.

Dopo, quando è stato possibile, Benny ha visto i video dell’inferno a cui sono stati sottoposti i residenti di Kissufim. «Ti dico alcune cose, una famiglia con madre, padre e un figlio di 14 anni sono stati bruciati vivi. Pure una donna di 84 anni. A un’altra, 96 anni, hanno sparato in testa, l’hanno legata a una moto e l’hanno trascinata per strada. Un uomo di 70 anni è stato squartato. Sei thailandesi sono stati fatti uscire con i fumogeni, poi li hanno fatti a pezzi. Stavano per dargli fuoco quando è arrivato l’Idf. Ma che c'entravano i thailandesi?», si chiede quest’uomo piccolo, con i capelli bianchi, i vestiti portati dai volontari. Ora i tre figli maschi di Benny sono al fronte. Lui è uno sfollato. La sua abitazione è inagibile, il kibbutz distrutto. E pensare che faceva un mucchio di soldi l’anno con la coltivazione di avocado, jojoba, l’allevamento di polli e mucche, la produzione di milioni di litri di latte. «Ma sono sopravvissuto, ringrazio Dio che posso parlare con te oggi», dice alla cronista. «Mi basta per dire che non voglio dare colpe a nessuno. Né ai palestinesi, né a Netanyahu. Avevo previsto che sarebbe successo qualcosa. Ma questa ferocia disumana non potevo immaginarla». E se ne va, dopo un lungo abbraccio.

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