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"Il Comandante", quell’eroe “disobbediente” messinese inaugura la Mostra di Venezia

Nel film di De Angelis Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino), leggendario ufficiale che, contro tutto, decise di salvare nemici naufraghi: «Le leggi del mare non vanno infrante». E vale anche oggi

«Taciti ed invisibili partono i sommergibili», l’inno fascista dedicato ai sommergibilisti introduce al tema: «Comandante» di Edoardo De Angelis ha aperto in concorso Venezia 80 (in sala arriverà il 1 novembre con 01 Distribution). L’Italia realizza un raro film di guerra, un kolossal da 14 milioni e mezzo di euro con la costruzione fedele 1:1 del sommergibile Cappellini, per raccontare la storia leggendaria di un pluridecorato della seconda guerra mondiale famoso per le sue imprese di coraggio e di disobbedienza.

Nel 1940 il comandante messinese Salvatore Todaro (Pierfrancesco Favino), nonostante una frattura permanente alla colonna vertebrale che gli fa sputare sangue e tenere la morfina nel cassetto, è il carismatico capo del sommergibile Cappellini della Regia Marina con la missione dettata dai vertici militari fascisti e tedeschi: agguato in Atlantico. La sua corrispondenza con la moglie Rina (Silvia D’Amico) è il filo rosso del film. La sua truppa di marinai e ufficiali sono a bordo, fieri di esserlo, scacciano la paura pregando e cantando «Un’ora sola ti vorrei», altra hit di quegli anni. L’affondamento del mercantile belga Kabalo è quello che consegna alla storia Todaro: disobbedisce alla legge militare di guerra di eliminare più ferro e più vittime possibili e salva 26 naufraghi portandoli in porto sicuro alle Azzorre, navigando in emersione, mettendo in pericolo lo stesso equipaggio del Cappellini. Farà infuriare i suoi, avrà eternamente grati i belgi, assicurerà col suo esempio alla storia la precedenza della legge del mare, del soccorso in mare, su tutte le altre leggi umane e alla domanda sul motivo del suo gesto, risponderà orgoglioso: «Perché sono un italiano».

Una vicenda vera, di un personaggio unico, contraddittorio, «pronto a colpire e affondare tutti i nemici e a ridiventare invulnerabile quando salverò la loro vita. Così si è sempre fatto in mare e sempre si farà e coloro che non lo faranno saranno maledetti». A buon intenditor poche parole e del resto l’ispirazione per scrivere questo film è venuta ad Edoardo De Angelis e a Sandro Veronesi (la sceneggiatura ora è un romanzo Bompiani) quando l’ammiraglio Pettorino, comandante della Guardia Costiera, nel 2018, davanti all’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini (presente ieri in Sala Grande), citò Todaro e disse che «in mare c’è un solo obbligo, prestare soccorso, salvare vite».

De Angelis spariglia le carte, gioca con la retorica, al realismo aggiunge teatralità, romanticismo, poesia, fa di Todaro-Favino una star melò, usa l’alto mare e il profilo del Cappellini come una scenografia della Scala, i soldati sono coristi d’opera, il dramma della guerra ha il ritmo musicale delle marcette d’epoca.

Paura di letture politiche per «Comandante»? Il regista Edoardo De Angelis e l’interprete, Pierfrancesco Favino dicono subito un secco «no» parlando coi giornalisti. Nonostante qualche osservatore abbia già notato che Todaro, dopo quell’avventura, aderì alla X Mas (la produzione, però, con grande oculatezza, nelle note specifica «una X Mas non ancora diventata la vergogna e il disonore dell’esercito, cosa che avviene dopo l’8 settembre»). Fatto sta che questo film sulla solidarietà nasce, a detta dello stesso regista, nel 2018, nel periodo della politica di contenimento dei migranti ad opera dell’allora ministro dell’Interno Salvini . «Le reazioni di chi vede trascendono chi ha fatto materialmente il film. Spero solo che chi guarda Comandante convenga che esistono delle leggi eterne immutabili, come le leggi del mare, che non vanno infrante», replica con eleganza il regista.

Ma chi era davvero Todaro? Spiega Favino: «Un magnifico esempio di ciò che cerco anche nel mio mestiere. Era un cattolico praticante, uno spiritista, ma anche un appassionato di filosofia orientale e un militare convinto. Era insomma un uomo pieno di gradazioni, che è quello che cerco e amo in un essere umano. Infine Todaro era uno capace di disubbidire». Per quanto riguarda l’accoglienza, spiega ancora l’attore che nel film parla un metallico dialetto veneto: «Io ne so qualcosa di accoglienza, vengo da una famiglia particolare. Ogni tanto dovevo lasciare la mia stanza perché i miei ospitavano qualcuno che aveva bisogno. A casa mia la porta era sempre aperta ed è una cosa che applico ancora nella mia vita». A un certo punto Favino si emoziona davvero, ricordando quanto è successo con la figlia di Todaro, Graziella Marina: «Quando l’ho incontrata mi ha detto che mi era molto grata, perché avevo dato una voce al padre che non aveva conosciuto».

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