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"El Conde", un vampiro di nome Pinochet. A Venezia anche la premiere "Ferrari" e "Dogman"

Il film di Pablo Larrain rilegge la storia del Cile e del dittatore in chiave grottesca

La 315 S della “volpe argentata” Piero Taruffi è in bella mostra sul tappeto rosso del Palazzo del cinema, forse una prima volta per una macchina da corsa d’epoca nella lunga storia della Mostra del cinema che festeggia 80 edizioni. È il giorno del Drake e del cavallino rampante a Venezia e del film di Michael Mann su Enzo Ferrari, una storia melodrammatica di corse pericolose, ingegneri geniali, di lutti, di passione letale, di motori roboanti e di crisi coniugali, di figli non riconosciuti e di alcove segrete. Un film romantico che va a ritmo dei giri e racconta una vicenda e un’epoca lontana, testimoniata anche dalla presenza di Piero Ferrari alla premiere mondiale in sala grande.

Il protagonista Adam Driver, che ha avuto l’ok del sindacato perché il film è una produzione indipendente, è acclamato come una rara star americana in questa Venezia 80 e con lui Patrick Dempsey, il dr Derek Sheperd di Grey’s Anatomy, che interpreta Taruffi e che ha chiesto lui a Mann di essere a tutti i costi nel film da appassionato di Formula 1. Sul red carpet tra influencer e modelle anche la figlia di Mick Jagger, Georgia May.

In concorso oltre all’atteso Ferrari (uscirà al cinema con 01) ieri c’era El Conde, il conte, il nuovo film di Pablo Larrain che rilegge la storia del dittatore del suo paese, il Cile, Augusto Pinochet come un vampiro che succhia il sangue dei cileni e rapina i loro soldi. Girato in bianco e nero, con Jaime Vadell nei panni del generale anziano che dopo 250 anni decide di morire affranto dai figli che non vedono l’ora di mettere le mani sul tesoro accumulato e dal disonore perché l’opinione pubblica lo considera un truffatore. Il regista sceglie, come nei suoi precedenti lavori (Spencer ad esempio), un registro grottesco e la storia di Pinochet, a 50 anni dal golpe, tornata di recente di attualità dopo le prove che la Cia era informata del colpo di stato che diede il via alla dittatura (su Netflix dal 15 settembre).

Terzo film in gara ieri anche Dogman di Luc Besson, una favola nera con protagonista Douglas (l’eclettico e luciferino Caleb Landry Jones), un ragazzo che fin da piccolo viene chiuso in un gabbia piena di cani da un padre violento e da un fratello altrettanto violento e si ritrova a vivere su una sedia a rotelle circondato dai suoi fedelissimi cani capaci di proteggerlo come, all’occorrenza, di delinquere. Sempre travestito da donna (un modo per lui di proteggersi), Douglas diventa lentamente un joker folle.

Ci voleva la fantasia di Pablo Larrain (Tony Manero, Jackie) per immaginare un Augusto Pinochet diventato un vampiro stanco che, dopo 250 anni di vita, vuole solo morire. Lui sarebbe anche pronto a farlo, ma ha una sola paura: accetta pure che lo chiamino assassino, ma non sopporta che gli dicano ladro. La moglie (Gloria Münchmeyer), poi, ha intrecciato una relazione con il suo losco maggiordomo (Alfredo Castro) anche lui vampiro. Figli e figlie, infine, aspettano solo la sua eredità e sono così più vampiri dei vampiri.
«L'idea del film – spiega il regista – non è certo originale e si basa sul più pericoloso dei concetti, ovvero che una figura come quella di Pinochet possa essere eterna e che il male possa alla fine sopravvivere. Credo che oggi sia giusto dire questo in un momento in cui la storia sembra ripetersi». Difficile invece «prevedere – aggiunge – come sarà accolto in Cile. Probabilmente c’è chi lo odierà e chi lo amerà».
L’idea iniziale, sottolinea Larrain, «era quella di realizzare un film su Pinochet come vampiro e avevamo pensato di fare una serie tv, ma poi ci siamo detti: perché non facciamo un film? Comunque non avevamo mai considerato di sviluppare questi progetto in occasione dei cinquant'anni dal golpe. Non era previsto. È stato solo un caso».
C'è stato bisogno di un lungo processo per affrontare questo tema, anche perché «Pinochet non è mai stato rappresentato al cinema e in tv. Bisognava trovare l’approccio giusto che alla fine ci ha portato a combinare farsa, satira ad elementi che arrivano dalla leggenda del conte vampiro. Un modo, questo, per non entrare mai in empatia con lui, una cosa – sottolinea il regista – che assolutamente sarebbe stata inaccettabile.

La vita, i dolori, le emozioni di Enzo Ferrari

Rara star americana avvistata al Lido: è Adam Driver che in deroga sindacale al duro sciopero di autori e attori in corso ad Hollywood è alla Mostra del cinema di Venezia per presentare il suo Enzo Ferrari.
Dopo aver interpretato Maurizio Gucci nell’House of Gucci di Ridley Scott, l’attore 39enne è alle prese con un altro italiano, il Drake, il mito di Maranello, protagonista del film di Michael Mann, in corsa per il Leone d’oro.
«Un uomo particolare, diverso da tutti, una persona che era come spronata dal lutto del giovane figlio Dino, dal dolore che provava. E tutti i rapporti con le persone che lo circondavano, in famiglia e nella scuderia, ne erano condizionati. Di Enzo Ferrari – racconta Adam Driver – sapevo poco ma via via che preparavamo il film, conoscevamo i luoghi veri a Modena, il barbiere, lo studio, la casa, i ristoranti, sono entrato in connessione con lui e il suo mondo, è stato davvero emozionante».
Nel kolossal di produzione indipendente (motivo per cui è potuto essere qui), girato in Italia, con adrenaliniche scene di gare, c’è la ricostruzione della famosa Mille Miglia del 1957 con la tragedia che costò la vita al pilota Ferrari Alfonso De Portago e fece strage nel pubblico a Guidizzolo con la morte di nove spettatori tra cui 4 bambini. Fu l’ultima Mille Miglia poi vietata per ragioni di sicurezza, la fine di un’epoca. Nel cast ci sono Penelope Cruz (la moglie Laura Ferrari), Jack O’Connell, Sarah Gadon (Linda Christian), Gabriel Leon, Lino Musella, Valentina Bellè e Shailene Woodley che interpreta l’amante Lina Lardi, da cui nascerà Piero riconosciuto solo nel 1975.
«Sono affascinato da sempre da storie così profondamente umane, quando mi sono imbattuto in un personaggio così dinamico come Enzo Ferrari ne sono rimasto colpito. Tutti i suoi aspetti contrastanti sono universali, ma così è la vita e lui li aveva concentrati», dice il regista.
Il 1957 è un anno cruciale per la vita di Enzo Ferrari: ha perso l’amato figlio Dino a 24 anni per la distrofia, il suo matrimonio con Laura, rovinato dal dolore è al capolinea, nel frattempo prosegue la relazione extraconiugale con Lina Lardi, conosciuta durante la guerra e che gli ha dato il figlio Pietro che lo chiama papà, durante le gare muoiono suoi amici fedeli e la sfida con la Maserati, pure modenese, gli toglie il sonno, per lui ci sono solo le corse e la Mille Miglia di quell’anno finirà in tragedia. Pubblico e privato si sovrappongono nel melò di Michael Mann.

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